Roma - Tagli agli sprechi e lotta ai privilegi di casta. A parole la Finanziaria 2007 si proponeva questi obiettivi. Ma nella realtà dei fatti le nuove tasse hanno sommerso qualsiasi timido tentativo di morigerare i costumi. Nel marasma preelettorale, però, il governo sta cercando, sempre a parole, di attuare quei provvedimenti finora ostacolati dalla difesa a tutti i costi del settore pubblico. Ma anche stavolta i cambiamenti potrebbero essere impercettibili.
Il ministro volenteroso. Una circolare del ministro degli Affari regionali, Linda Lanzillotta, intende dare piena attuazione al comma 725 della legge di bilancio che fissa le retribuzioni dei manager «nelle società a totale partecipazione di Comuni e Province» all’80% delle indennità spettanti al sindaco o al presidente della Provincia per i presidenti e al 70% per i consiglieri. In teoria, la norma fisserebbe a 94mila euro annui i compensi per gli amministratori romani, a 88mila per quelli milanesi e a soli 63mila per i consiglieri delle aziende bresciane. La «buona volontà» del ministro dl è tuttavia contraddetta da due circostanze. La prima è esterna e si riferisce ai dispositivi della Finanziaria stessa che limita il suo ambito di applicazione alle società non quotate, che non tocca direttori generali e comitati esecutivi, che consente lievi incrementi di stipendio in caso siano presenti azionisti privati e che comunque prevede la possibilità di fissare «indennità di risultato» in caso di produzione di utili. La seconda è interna alla circolare: si «ammorbidisce» il comma 734 che vieta la nomina di amministratori che nei cinque anni precedenti abbiano chiuso almeno tre esercizi in perdita. Il criterio ora non è assoluto, ma dovrà essere valutato in base ai piani della società.
Dentro e fuori. La circolare del ministro Lanzillotta si accompagna a un doppio intervento legislativo: un decreto della presidenza del Consiglio per ridurre i componenti dei cda delle società pubbliche (non più di tre se il capitale è inferiore a 2 milioni di euro, non più di cinque negli altri casi) e un disegno di legge per la trasparenza dei compensi che obbliga non solo i manager ma anche gli eletti di province, comuni e circoscrizioni a rendere pubblici compensi e indennità. Entrambi i provvedimenti dovranno passare al vaglio della conferenza Stato-città. I tempi non saranno brevi. Ma anche gli effetti potrebbero essere limitati. Se si prende in esame la sola Capitale si individuano due principali interessate: Atac (trasporti pubblici) e Ama (nettezza urbana). Entrambe hanno un consiglio di amministrazione di 7 componenti che dovrà essere dimagrito. Per quanto riguarda i compensi si può dire che nel 2004 i sette consiglieri di Atac hanno percepito 380mila euro: in media 54.285 euro a testa, una cifra che rientrerebbe nel limite anche se probabilmente il presidente e l’ad guadagnano più di 50mila euro annui. Restano fuori le società quotate come le utility. A Roma il presidente di Acea (51% del Comune), Fabiano Fabiani, nel 2006 ha percepito 303mila euro e l’ad Andrea Mangoni 393mila. A Milano, sempre nel 2006, il presidente e ad di Aem (43% del Comune), Giuliano Zuccoli, ha guadagnato 1,5 milioni. A Brescia il presidente di Asm (70% del Comune), Renzo Capra, si è visto corrispondere 463mila euro. In una società il cui flottante è del solo 16 per cento. Molti consiglieri delle suddette società guadagnano più dei tetti fissati dalla Finanziaria per le partecipate comunali e provinciali.
Modesta proposta. In un simile contesto è opportuno ricordare la proposta avanzata l’anno scorso dall’Istituto Bruno Leoni, dall’Associazione Nexus e dalla Adam Smith Society. Prendendo in esame 7 Comuni (vedi tabella), se ne ricavò un valore delle partecipazioni superiori ai 13 miliardi di euro.
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