Sta prendendo corpo il progetto promosso dal Centro internazionale studi emigrazione italiana. In primavera la mostra «Prossima partenza New York» Un museo ricorderà chi fuggiva dall’Italia

La struttura disporrà di un archivio informatico realizzato in collaborazione con l’amministrazione di Ellis Island a New York

Sta prendendo corpo il progetto promosso dal Centro internazionale studi emigrazione italiana. In primavera la mostra «Prossima partenza New York» Un museo ricorderà chi fuggiva dall’Italia

Rino Di Stefano

Nel 1877 un gruppo di emigranti trentini provenienti dai paesi di Fornace e Civezzano si imbarcò nel porto di Genova su uno dei tanti piroscafi diretti nel nuovo mondo. A pochi anni dall’unificazione d’Italia, i neo italiani continuavano a combattere con la miseria soltanto per conquistare un pranzo al giorno e il governo di sinistra, guidato da Depretis, tutto quello che aveva saputo fare era rendere gratuito e obbligatorio per tre anni l’insegnamento elementare per tutti i bambini dai sei ai nove anni. È pur vero che il Paese aveva raggiunto il pareggio di bilancio e viveva un periodo di intenso sviluppo industriale dovuto alla costruzione di grandi corazzate, ma nelle campagne, e cioé nella maggior parte del territorio, era la fame a fare da padrona. E per gli uomini la prospettiva di essere chiamati alle armi per la leva obbligatoria, che significava stare lontano da casa per diversi anni e magari finire nel bel mezzo di una guerra, non aiutava davvero a fare progetti per il futuro.
L’emigrazione, dunque, restava l’unica via per togliersi dall’inferno in cui si era nati. Per quei trentini l’obiettivo era il Brasile dove, secondo gli accordi stipulati con l’armatore che aveva organizzato il viaggio, li aspettava un lavoro fisso. Ma quella nave non andò in Brasile. L’armatore, sfruttando ignobilmente la buona fede di quegli emigranti, dirottò il piroscafo verso Haiti, uno dei posti più disgraziati delle Antille, dove aveva fissato un accordo con le autorità locali per l’impiego di mano d’opera a buon mercato.
Quello scandalo allora fece parecchio rumore e per la prima volta si parlò apertamente di «tratta degli emigranti». Del resto il fenomeno cresceva di anno in anno e dal 1833 al 1900 furono centinaia di migliaia coloro che si accalcarono sulle banchine del porto di Genova per fuggire dall’Italia, cercando una vita migliore nelle Americhe.
È a tutta questa massa di persone, che praticamente ha raddoppiato la popolazione italiana all’estero, che ora il Centro Internazionale Studi Emigrazione Italiana (Cisei) di Genova vuol dedicare un grande Museo dell’Emigrazione che racconti quegli anni di povertà, speranze e delusioni.
«A Genova non c’è famiglia che nel suo passato non abbia avuto almeno un emigrante - spiega l’ingegner Fabio Capocaccia, presidente del Cisei - E tutta la documentazione relativa a quelle persone e a quel periodo, rischia di andare perduta per sempre. Basta infatti un semplice trasloco e tanti preziosi documenti possono finire chissà dove. Noi dunque ci proponiamo due cose. La prima è quella di creare un Archivio dei Nomi presso il Museo del Mare. A questo proposito abbiamo trattative in corso con l’amministrazione di Ellis Island, l’isola dove arrivavano gli emigranti diretti a New York, per uno scambio di informazioni. Gli americani schedavano ogni singolo nuovo arrivato, per cui hanno un archivio davvero imponente. Il nostro secondo obiettivo, invece, è quello più ambizioso: realizzare appunto un Museo dell’Emigrazione che raccolga tutti i dati di coloro che per oltre un secolo sono partiti dal porto di Genova diretti al nuovo mondo. In quel periodo a Genova esisteva molta confusione e non erano pochi quelli che riuscivano a imbarcarsi come clandestini. Ma chi partiva da qui poi arrivava nelle Americhe. Ed è collaborando con i centri studi già esistenti a San Paolo, in Brasile, a Buenos Aires, in Argentina, e a New York, negli Stati Uniti, che contiamo di ricostruire le cifre e le storie dei tanti italiani che sono emigrati».
Tra l’altro il Cisei, il cui comitato scientifico è presieduto dal professor Antonio Gibelli dell’Università di Genova, ha anche avviato una fruttiva collaborazione con altri porti europei (Le Havre, Liverpool, Amburgo e Rotterdam) che hanno svolto un ruolo primario nell’emigrazione tra l’Ottocento e il Novecento.
Tanto per dare un’idea di chi sta dietro al Cisei, basti pensare che ne sono soci l’Autorità Portuale di Genova, la Camera di commercio di Genova, il Comune di Genova, la Provincia di Genova, la Regione Liguria, l’Archivio di Stato, la Capitaneria di porto, la Curia Arcivescovile di Genova, la Curia Arcivescovile di Chiavari, la Soprintendenza Archivistica della Liguria, l’Università di Genova e l’Istituzione Musei del Mare e della Navigazione.
Tra l’altro sarà proprio quest’ultima a organizzare nel 2007 la mostra «Prossima partenza New York» che verrà inaugurata in primavera presso le sale del Museo del Mare, nel Porto Antico. Ed è appunto a questo progetto che stanno lavorando in tandem Maria Paola Profumo e Pierangelo Campodonico, rispettivamente presidente e direttore dell’Istituzione Musei del Mare e della Navigazione.
«Attualmente i nostri sforzi sono orientati a gettare le basi per la realizzazione del museo - spiega l’ingegner Capocaccia - Prima di tutto siamo contenti di poter contare su una sede prestigiosa come la Commenda di Prè. Era lì, infatti, che si fermavano i pellegrini quando giungevano a Genova prima di imbarcarsi per la Terra Santa, dove si recavano per partecipare alle crociate. Adesso il problema sono i finanziamenti e, a questo proposito, venerdì avremo un incontro con l’onorevole Danieli, il vice ministro degli Esteri, per trovare un canale di finanziamento pubblico. In un secondo tempo stabiliremo anche dei contatti con i privati. Già qualche sponsor lo abbiamo.

Del resto è impensabile che una città come Genova, principale porto mediterraneo del fenomeno emigrazione, non abbia un museo che ricordi quegli anni. È da qui che nasce il nostro entusiasmo e la nostra voglia di fare. Speriamo di riuscirci...».

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