Dopo George Bush, Barack Obama; dopo Die Welt, il Financial Times. Con grande scorno dell'opposizione, che si ostina a deriderlo per la sua tattica delle «pacche sulle spalle» e l'enfasi sui rapporti personali con gli altri leader mondiali rispetto ai tradizionali canali della diplomazia, la politica estera di Silvio Berlusconi riscuote nuovi e imprevedibili apprezzamenti.
Quando Bush, nel giugno 2008, disse del Cavaliere «lo conosco, mi fido di lui, mi piace, è uno dei leader mondiali davvero interessanti», la sinistra si affrettò a osservare che un simile giudizio da parte di un leader impopolare e sul viale del tramonto era quasi un bacio della morte, e a pronosticare vita difficile per il presidente del Consiglio non appena la Casa Bianca avesse cambiato inquilino. Quasi per avallare questa previsione, vari esponenti del Pd, e soprattutto la stampa fiancheggiatrice, hanno cercato per mesi di seminare zizzania tra Roma e Washington, insinuando che Obama non aveva simpatizzato con Berlusconi, che gli americani erano irritati per i nostri rapporti troppo stretti con Russia e Libia e perfino dando credito alla assurda insinuazione di un giornale britannico, che il dipartimento di Stato aveva preso in mano l'organizzazione del G8 dell'Aquila perché non riteneva il nostro governo all'altezza.
Chissà come sono rimasti male questi uccelli del malaugurio quando, mercoledì, Obama ha ripreso la linea di Bush, ringraziando pubblicamente il premier per la leadership dello stesso G8, l'impegno comune nell'affrontare le sfide economiche globali e il ruolo fondamentale svolto dall'Italia nelle varie missioni internazionali: una vera e propria pagella da cui il governo Berlusconi esce promosso con lode.
Quasi a supporto di questo messaggio, ieri è arrivato un editoriale del Financial Times, uno dei giornali più critici con il Cavaliere per la vicenda delle escort, il conflitto d'interesse e i problemi giudiziari. Sentite l'attacco: «Otto Von Bismarck derise una volta gli italiani perché avevano molto appetito, ma pessimi denti e non contavano nulla sulla scena internazionale. Evidentemente non aveva conosciuto Silvio Berlusconi». Il quotidiano della City prosegue riabilitando la «politica del cucù» (una definizione derivata da uno scherzo del premier ad Angela Merkel durante un vertice, che a sua volta aveva provocato lo scherno della sinistra), che magari fa storcere il naso ai diplomatici in doppio petto, ma che ha permesso al Cavaliere di promuovere gli interessi dell'Italia in molti Paesi soprattutto ai margini della Ue. In questa chiave, l'Ft apprezza perfino la lunga e un po' misteriosa visita privata di Berlusconi a Putin.
Questo non significa che siano tutte rose e fiori, ma conferma che il bilancio di un anno e mezzo di politica estera del centro-destra è complessivamente positivo. La tanto criticata amicizia con la Russia sta producendo non solo vantaggi in campo energetico e commerciale, ma permette anche interventi delicati di mediazione, come nel caso della crisi georgiana. Il trattato di amicizia con la Libia non è piaciuto a tutti, ma ha consolidato rapporti economici che, in realtà, gli alleati ci invidiano. L'amicizia con Israele è stata bilanciata da un legame molto forte di Berlusconi con il presidente egiziano Mubarak e il nostro ruolo-ponte sarà prossimamente rafforzato dai viaggi dello stesso Premier nei Paesi del Golfo e nello Stato ebraico. Sempre in Medio Oriente, abbiamo guidato con tanto successo la missione Onu nel Libano meridionale, che gli israeliani vogliono che ne manteniamo il comando per altri sei mesi. Le calunnie del Times su presunti pagamenti ai talebani non hanno certo oscurato l'opera dei nostri soldati in Afghanistan, le cui tattiche sono ora prese a modello - lo ha detto proprio Obama nella famosa lettera - dagli stessi americani. Ancora una volta, siamo riusciti a evitare una riforma del Consiglio di Sicurezza che ci avrebbe penalizzato. In Europa, siamo stati relativamente defilati, ricevendo anche qualche sgarbo, ma l'iniziativa congiunta Berlusconi-Sarkozy contro l'immigrazione clandestina potrebbe rappresentare una svolta.
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