La stanza di Mario Cervi

Premetto che - da uomo di sinistra - non condivido nessuno dei punti di vista del suo quotidiano, salvo nelle occasioni in cui informa delle contraddizioni e degli scheletri nell’armadio della mia parte politica. Tuttavia vorrei condividere con lei una riflessione sui cosiddetti tagli a università, scuola, cultura e spettacolo. Da insegnante e ricercatore non posso che lamentarmi dei finanziamenti sottratti (trattandosi di tagli alla spesa sociale la cosa è oggettivamente grave); ma, ciò nonostante, devo riconoscere che non esiste, nelle strutture che gestiscono i fondi, una reale vigilanza sull’uso di tali fondi. I soldi ci sono, ma vengono usati male e sempre dai soliti noti (nella scuola ci sono docenti con ore supplementari, quando migliaia di docenti stanno a spasso; nell’università i fondi vengono divisi tra pochi, senza reale selezione e senza un controllo, e spesi senza lungimiranza). Quanto alle rappresentazioni teatrali e liriche, il teatro non sopravviverebbe senza gli aiuti dello Stato, e così gli attori. Questo è gravissimo, si tratta semplicemente di parassiti; siccome c’è da pagare un biglietto, il budget a disposizione dell’Ente non può essere superiore agli incassi; se i teatri non bastano a se stessi, sono solo un capitolo di spesa. Esistono, invece, grandiose eccezioni - penso a Carmelo Bene e ai contemporanei Emanuele Giglio e Antonio Rezza - che dimostrano come sia possibile fare bene l’attore senza percepire un euro dallo Stato. È ipocrita che attori e registi scendano in piazza a chiedere soldi pubblici.

Hanno scelto di essere «artisti», posto che lo siano? Dimostrino di poter piacere al pubblico utilizzando gli introiti che ricavano. Non si può far andare in scena chiunque; se paga il ministero posso andare in scena anch’io e dire a mio modo «Essere o non essere...»! Compito dello Stato è promuovere la cultura, non pagarla.
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