la stanza di Mario CerviÈ giusto che il bridge giochi le proprie carte per i malati

Sono Laura Tidone, ex Direttore del Dipartimento delle Dipendenze dell'Asl di Bergamo, responsabile del corso di formazione citato nell'articolo comparso sul Giornale dal titolo «I corsi dell'Asl per i medici? Insegnano a giocare a bridge». Il gioco del bridge, disciplina sportiva riconosciuta da CONI, è ampiamente utilizzato, specialmente nei Paesi anglosassoni, nelle aree educative, della riabilitazione e della risocializzazione. Esiste abbondante letteratura scientifica che ne dimostra i benefici. Ogni Azienda Sanitaria raccoglie annualmente i bisogni formativi e stende un piano che comprende decine, se non centinaia di corsi. I corsi, quasi sempre, hanno un costo elevato, soprattutto per il pagamento dei docenti. I corsi, per essere approvati, devono presentare documentazione scientifica adeguata. Purtroppo non tutto il personale sanitario è competente in materia e sa che il numero dei crediti viene attribuito solo in base alla tipologia di evento (conferenza, formazione sul campo, ciclo di conferenze) e alla sua durata. Un evento come quello che viene citato, accreditato con quattro ECM, si svolge in un'unica giornata. Il corso di bridge ne ha ottenuti 20 o 25 perché si svolge in 10 incontri di 4 ore ciascuno, per un totale di 40 ore. Aggiungere un corso a quelli presenti nel piano formativo in questo caso non ha alcun costo. Esso è totalmente gratuito per l'Azienda (gli istruttori federali mettono gratuitamente a disposizione il loro lavoro) e si svolge, a differenza degli altri, al di fuori dell'orario di servizio (alla sera, ore 21).
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Cara amica, Cristiano Gatti mi ha passato la sua lettera perché dei corsi di bridge alla Asl di Bergamo mi ero già occupato in una recentissima «Stanza». Me l'ha passata, con grande sprezzo del pericolo, pur sapendo di affidarla a chi, sul bridge, non darà mai un parere imparziale. Come ho già spiegato, il bridge è un gioco che pratico da decenni, con risultati modesti ma con incondizionata e sconsiderata adesione. D'istinto sono dunque tentato di assegnare piena dignità e validità al bridge quando debbano essere promosse - come lei scrive - l'educazione, la riabilitazione, la risocializzazione dei pazienti. Da questi punti di vista il bridge può indubbiamente essere molto utile. Tanto più che i corsi si svolgono, come lei sottolinea, in ore non lavorative e a costo zero. Ma a Cristiano Gatti, giornalista scrupolosissimo e bravissimo nel fiutare sentimenti collettivi, è parso che un un'epoca calamitosa come quella che viviamo, e nello sfascio immane della sanità, i corsi di bridge fossero una di quelle stranezze e futilità che il sistema burocratico sforna incessantemente. Rilevava in particolare, l'amico Cristiano, che il bridge dà a chi vuole praticarlo nell'ambito sanitario 25 punti sui 50 richiesti per l'aggiornamento professionale, mentre i corsi di radioterapia per tumore al seno danno soltanto 5 punti. Di sicuro, a prima vista un'incongruenza, anche se il temine scandalo è a mio avviso non appropriato.

Vorrei tanto che tra il bridge e la medicina ci fosse un accordo fondato su una semplice constatazione. Stiamo discorrendo, qui, dei punti meritati o non d'aggiornamento professionale, di solito si discute di miliardi sperperati. È già un progresso non da poco.

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