Lo stemma di Romano, laureato alla scuola dell’inganno

«A Marechiaro ce sta ’na finestra...», cantano i napoletani. Ma anche i londinesi ne hanno una, forse più singolare, e si trova alla prestigiosa London School of Economics, dove si sono formati calibri come il miliardario George Soros e Romano Prodi.
Prima di parlare della finestra, due o tre cose sulla London School of Economics, che non tutti sanno essere espressione del fabianismo. A Londra nel 1884 venne creata la Società Fabiana, che prese il nome da Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, il console romano che logorò Annibale con la sua strategia graduale. I fabiani erano socialisti che alla rivoluzione privilegiavano la politica dei piccoli passi, dell’attesa del momento opportuno, del piazzamento di propri uomini nei gangli nevralgici dell’amministrazione. Tra i fondatori, il drammaturgo George Bernard Shaw e Sydney Webb, alto funzionario britannico.
I fabiani sono considerati i padri del Welfare State, perché per loro era lo Stato a dover realizzare la felicità dei cittadini. Manovrando però discretamente, senza allarmismi, operando nella penombra. Tale «rivoluzione di velluto» si realizzava nell’amministrazione pubblica. Per questo, Webb nel 1895 fondò la London School of Economics and Social Science, il cui fine era la formazione degli alti quadri amministrativi. Si noti che a quel tempo l’impero britannico era il più esteso della terra; ad esso succedette il Commonwealth, con tutta la sua trama di relazioni e contiguità.
Il credo dei fabiani era fatto di nazionalizzazioni, controllo sul credito, sulla scuola e sui servizi sociali, fiscalità pervasiva. Ci sono stati momenti in cui interi governi inglesi erano composti quasi esclusivamente da fabiani. Solo con l’avvento della Thatcher le cose cambiarono (ma solo per spostarsi, sempre poco alla volta, nell’ambientalismo). Non a caso, come nota in un suo saggio sull’argomento Paolo Mazzeranghi, i Fabian Essays vennero pubblicati per la prima volta in Italia da Editori Riuniti, l’editrice di riferimento dei comunisti nostrani. Insomma, l’ideale di costoro resta, ancora e sempre, «un Welfare State tecnocratico ad altissimo tasso di pressione fiscale e amministrativa».
Ed eccoci alla famosa finestra. L’acuta Alessandra Nucci, in un lancio dell’agenzia SviPop n. 86 (13 ottobre 2008) ha rivolto la sua attenzione alla vetrata, la cui collocazione alla London School of Economics nel 2006 il premier Tony Blair ha solennemente presieduto. Voluta da Shaw nel 1910, pare sia misteriosamente sparita e poi felicemente ritrovata. Cos’ha di curioso? Ci stanno sopra, vestiti in abiti medievali, i fondatori Shaw e Webb in atto di rimodellare un mappamondo con due martelli. Sulle loro teste la scritta «Remould it to the hearth’s desire!» («Riformalo secondo i desideri del tuo cuore»), frase tratta da un poema dell’XI secolo del persiano Omar Khayyam. Sotto, uomini e donne adoranti, in ginocchio davanti a un cumulo di libri sul socialismo. Accanto, tuttavia, c’è H. G. Wells (l’autore de «La guerra dei mondi»), ex fabiano dissociato: fa un gesto di scherno a quelli che definiva «machiavellici».
E adesso il clou: al centro, lo stemma dei fabiani, un lupo travestito da agnello. Insomma, il simbolo dell’inganno.

In un istituto internazionale che ha sfornato, tra gli altri, John Maynard Keynes e il Pandit Nehru. Oggi la parola d’ordine è «salviamo la Terra», e un’occhiata ai nomi dei promotori (nonché dei finanziatori) delle politiche neomalthusiane dei più influenti organismi internazionali darebbe qualche sorpresa.

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