Roma - Confindustria non accetterà ritardi nella riforma dei contratti. «Il Paese che produce e lavora non ne può più di discussioni interminabili, vecchi riti, decisioni rimandate e divisioni incomprensibili», ha protestato il presidente della confederazione Luca Cordero di Montezemolo. Uno sfogo arrivato in una giornata segnata dall’ennesima frenata di Guglielmo Epifani rispetto alle ipotesi di mettere mano al sistema delle relazioni industriali. «Il problema non è l’incontro, ma fare le cose fatte bene nell’interesse del Paese», ha detto il segretario generale della Cgil raffreddando le attese accese da Alberto Bombassei, che in mattinata aveva annunciato l’imminente convocazione dei sindacati per discutere di una proposta, che comprenderà maggiore flessibilità negli orari di lavoro in cambio di aumenti. Giornata complicata anche dall’annuncio che il governo intende partecipare al tavolo, così come chiedeva la Cgil. «Penso che il governo non possa essere coinvolto solo alla fine, perché il protocollo del 23 luglio è triangolare», ha spiegato il ministro del Lavoro Cesare Damiano.
Gli sforzi di viale dell’Astronomia a pochi giorni dalla convocazione delle parti (probabilmente la settimana prossima) tendono a dimostrare che la riforma dei contratti è interesse sia dei lavoratori sia degli imprenditori. Confindustria, ha spiegato Montezemolo, vuole «poter pagare di più chi lavora di più». Chi punta a dividere dipendenti e datori, ha concluso il leader degli industriali, «commette un grave errore e danneggia il Paese». Un riferimento soprattutto alla sinistra della Cgil, contraria a legare gli aumenti alla produttività e a ogni intervento per rendere più flessibile l’orario di lavoro. A favore di una riforma in questo senso restano invece Uil e soprattutto Cisl.
Che qualcosa nei meccanismi di adeguamento dei salari non funzioni, è stato evidenziato anche da una ricerca dell’Ires, l’istituto di ricerca della Cgil guidato da Agostino Megale, esponente riformista del sindacato di sinistra, dalla quale emerge che circa 7,3 milioni di lavoratori italiani guadagnano meno di mille euro al mese e oltre 14 milioni si fermano a 1.300 euro mensili. I salari italiani sono quelli che hanno registrato gli aumenti più modesti negli ultimi otto anni. Dal ’98 al 2006 le retribuzioni lorde dell’industria manifatturiera sono cresciute del 2,6 per cento, contro una media europea del 10 per cento e picchi di Paesi come il Regno Unito o la Francia, dove gli aumenti hanno raggiunto rispettivamente percentuali intorno al 18 e al 15 per cento.
La crescita delle buste paga italiane è quindi la più modesta dell’area euro, inferiore anche a quella della Spagna (5,3 per cento), dove le retribuzioni al netto delle tasse e dei contributi rimangono inferiori alle nostre, ma di pochissimo: 16.493 euro contro i 16.538 all’anno. Una rigidità che dal 2002 al 2007, è costata in perdita di potere d’acquisto 1.
896 euro a ogni lavoratore con un reddito di 24.890 euro.Un salasso nelle retribuzioni che la Cgil spiega con «il ritardo nel rinnovo dei contratti, lo scarto tra inflazione programmata e reale e anche la mancata restituzione del fiscal drag».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.