La storia dimenticata delle SS italiane

Una pagina scomoda della storia italiana. Riguarda uomini che fecero una scelta radicale, portandosi dietro la damnatio memoriae. Tanto che di queste migliaia di combattenti, a lungo, non si è saputo nulla: è rimasta solo una leggenda. Nera come le loro divise. Parliamo delle SS italiane, i membri della Italienische Waffenverbände der SS. Quegli irriducibili (e furono migliaia) che non si accontentarono della divisa della Repubblica di Salò e, dopo l’8 settembre del ’43, scelsero di indossare sul cappello la testa di morto dei «Reparti di difesa» di Heinrich Himmler.
Durante il conflitto combatterono ovunque, contro gli alleati ad Anzio e contro i partigiani nelle vallate alpine. Furono duri e spietati, propensi a ricevere e a dare la morte con noncuranza, reclutando anche ragazzini imberbi soggiogati dal mito della divisa e del sacrificio. Doti che, pubblicizzate dai giornali di regime e dai cinegiornali, ne fecero una bandiera della rinata alleanza con il Reich Millenario. Una fedeltà incondizionata, però, che moltissimi dopo la fine del conflitto tentarono di nascondere. Qualcuno non rivelando nemmeno ai propri familiari il tempo trascorso sotto le Sieg Rune, altri scegliendo un lungo esilio. I pochi che raccontarono sempre la verità, come l’orientalista (un orientalista molto abile anche nell’uso del pugnale) Pio Filippani Ronconi, pagarono. Filippani Ronconi si vide epurare dalle pagine culturali del Corriere della Sera non appena un lettore scrisse al quotidiano raccontando della sua militanza. Ecco allora perché è interessante il saggio del giornalista Enzo Caniatti: Legione SS italiana. Storia degli italiani che giurarono fedeltà a Hitler (Aliberti, pagg. 216, euro 16). Pur nella difficoltà di ricostruire la storia di questo reparto - si partì dalla Waffen Grenadier Brigade der SS (Italienische 1) per arrivare agli irriducibili che combatterono anche dopo il 25 aprile nella Italienische Waffen Verbande der SS -, il libro fornisce molti dati e ricostruisce in parte le esperienze di quei giovanissimi, come Gino Marturano e Angelo Cera, che si arruolarono quattordicenni.
Caniatti non fa sconti a nessuno raccontando le nefandezze e i metodi brutali del reparto, ma è anche attentissimo a ricostruire il clima di esaltazione che portò questi giovani verso una scelta simile. Insomma rompe la damnatio memoriae nel tentativo di restituirci un ritratto in chiaroscuro di chi scelse la parte sbagliata a partire da quel Carlo Federigo Degli Oddi che, per certi versi, fu l’ultimo comandante di ventura italiano.

Oppure ricostruisce temi complicati come la “mistica” che circondava il reparto, quella «mistica dell’immaginazione» che aveva affascinato Pio Filippani Ronconi. In attesa dell’impegno della storiografia ufficiale (esistono pochissimi testi tra cui Sentire, pensare, volere. Storia della Legione SS italiana di Sergio Corbatti e Marco Nava) è uno spunto interessante.

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