Politica

Strage nazista di Marzabotto: dieci ergastoli, sette assoluzioni

Il procuratore generale Fortuna: «È raro trovare un esame che si spinge in questi termini di certezza»

da Milano

Dai libri di storia alle aule di giustizia. La strage di Marzabotto, una delle pagine più feroci, anzi barbare, della furia nazista, è ora anche una sentenza del Tribunale militare della Spezia: dieci ergastoli e sette assoluzioni per il massacro avvenuto fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 sulle colline bolognesi. Morirono ottocento persone in una mattanza che non risparmiò niente e nessuno: donne, bambini, perfino cinque sacerdoti, compreso il parroco di Cesaglia, ucciso sull’altare; e poi case, strade, ponti, chiese e cimiteri. La giustizia è arrivata in extremis, quasi postuma, quando già l’anagrafe aveva falciato la lista dei potenziali indiziati. E il processo, celebrato dopo un intervallo di tempo così ampio, mostra i suoi limiti. Pochi uomini, tutti ultraottantenni, sul banco degli imputati e tutti virtuali perchè giudicati in contumacia.
In ogni caso è andata così: tredici anni fa fu scoperto a Roma «l’armadio della vergogna» in cui erano stati nascosti 273 fascicoli relativi alle stragi nazifasciste perpetrate in Italia nel ’43 e ’44. Poi la Procura militare spezzina ha cominciato a lavorare su una trentina di eccidi. Per Marzabotto l’inchiesta ha messo in luce le responsabilità della sedicesima divisione SS Panzergrenadier Reichsfurher. I pm hanno steso un elenco di circa 500 nomi, ma al termine delle ricerche si è trovato che solo 17 dei ragazzi di allora erano ancora vivi. Questi soldati parteciparono ai rastrellamenti e alle esecuzioni sommarie che si susseguirono per una settimana: al’alba del 29 settembre i tedeschi guidati dal maggiore Walter Reder accerchiarono la zona con lo scopo di annientare la Brigata Partigiana Stella Rossa. Poi iniziò il massacro.
Ora le condanne. In testa alla lista c’è Paula Albers, 88 anni, aiutante maggiore di Reder, il comandante del sedicesimo battaglione della divisione, condannato al carcere a vita nel 1951 dal tribunale militare di Bologna, ma poi graziato su intercessione del Governo di Vienna e morto in Austria. Seguono i nomi impronunciabili di nove signori ultraottantenni che, sulla carta, dovranno subire anche la pena dell’isolamento diurno, da uno a tre anni e dovranno risarcire alle parti civili una somma complessiva di oltre 100 milioni di euro.
«È stata una sentenza emessa nel nome del popolo italiano e nel rispetto delle leggi, al termine di un processo durissimo», spiega il presidente del Tribunale militare della Spezia Vincenzo Santoro. Soddisfatto anche il pm Marco de Paolis che nella requisitoria aveva chiesto quindici ergastoli: «Questa sentenza resterà un punto fermo nella storia dell Paese, ma anche nella morale, per i parenti delle vittime ed i sopravvissuti di quei massacri che ancora oggi ne sentono il dolore». Sottolinea invece la correttezza del dibattimento l’avvocato di parte civile Giuseppe Giampaolo, che in aula tutelava gli interessi della Regione Emilia Romagna, della Provincia di Bologna e dei Comuni di Marzabotto, Grizzana e Monzuno: «Noi avevamo chiesto un processo giusto, nessuna vendetta, un processo non ncontro i tedeschi ma contro i criminali. E così è stato: questa non è stata una giustizia sommaria».
Giustizia che un po’ alla volta sta regolando i conti con la storia. È questa la quinta sentenza del Tribunale spezzino su quella stagione di orrore: prima sono arrivati i verdetti sulle stragi della Certosa di Farneta, Sant’Anna di Stazzema, Branzolino San Tomè e Falzano di Cortona.
Per Marzabotto, le indagini sono iniziate nel 2002. De Paolis ha ricostruito minuziosamente quel che accadde sulle colline e ha messo in luce le responsabilità degli imputati, a cominciare da Paul Albers, il più alto in grado: «Fece così bene il suo infame, sporco lavoro che ricevette una ricompensa militare. Lo stesso Reder lo aveva definito, energico, severo, idoneo al comando superiore». Giudizi frutto di un’ideologia fanatica, sepolta dalla storia. Il dolore, però, è ancora intatto.

Ferruccio Laffi, che a Marazabotto perse 14 congiunti, si asciuga le lacrime: «Avrei preferito vederli condannati tutti, ma giustizia è fatta, almeno un po’».

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