Stefano Filippi
Fu una delle stragi di civili più efferate compiute dai nazisti in Italia nella Seconda guerra mondiale. Il 12 agosto 1944 le Ss della 16/a divisione Panzergrenadier Reichsführer setacciarono Sant'Anna di Stazzema contrada per contrada, casa per casa, stalla per stalla. Per rendere «sicuro e tranquillo» quel settore montagnoso della Lucchesia lungo il versante tirrenico della Linea gotica, massacrarono 560 persone indifese tra cui otto donne incinte e 116 bambini. Gente ammazzata sotto le sventagliate dei mitra, bruciata nel rogo delle abitazioni, sventrata a colpi di baionetta; uno di loro fu crocifisso a un portone: si era rifiutato di indicare dove si erano nascosti i partigiani.
Dopo 61 anni, il processo ai presunti responsabili si sta chiudendo. Gli imputati sono 10 ex ufficiali e sottufficiali delle Ss. Ieri il pubblico ministero del tribunale militare della Spezia Marco De Paolis ha pronunciato la requisitoria e presentato le richieste, durissime: 10 condanne all'ergastolo.
Nessuno degli accusati sedeva ieri alla sbarra ad ascoltare le parole drammatiche e appassionate del magistrato e le pesanti richieste di pena. Gli ex nazisti vivono in Germania, hanno seguito con distacco l'inchiesta e il dibattimento, convinti che l'età avanzata e la lontananza faranno loro da scudo, nonostante i «numerosi elementi - ha detto il pm - che ci portano a sostenere che queste persone abbiano avuto precisi ruoli nell'eccidio». Uno solo ha ammesso, non in aula ma nel suo Paese, di aver sparato su numerose donne: il suo nome è Ludwig Goring. Gli altri ex Ss sono Gerard Sommer, Alfred Schoneberg, Karl Gropler, Horst Richter, Ludwig Sonntag, Alfred Concina, Werner Bruss, Georg Rauch, Heinrich Schendel. Vuoto il banco degli imputati, ma affollatissimo lo spazio riservato al pubblico. Testimoni e parenti delle vittime hanno seguito con le lacrime agli occhi la requisitoria. Il pm ha descritto «l'efferatezza e la violenza» della strage, ne ha ricostruito lo svolgimento, ha rievocato la barbarie sanguinaria degli uomini con la croce uncinata, che stanarono i civili porta a porta con le bombe a mano o i lanciafiamme e trucidarono 130 persone che credevano di aver trovato riparo in chiesa. Le testimonianze raccolte in aula sono raccapriccianti. Il processo si celebra grazie all'apertura del cosiddetto «armadio della vergogna», un archivio della Procura militare di Roma dove il fascicolo sulla strage di Sant'Anna (e altri analoghi) rimase sepolto per oltre 50 anni. Quando le carte vennero alla luce la procura militare della Spezia, competente per territorio, svolse indagini difficili: i sopravvissuti sono pochi, i ricordi sbiaditi, gli accertamenti sul posto disagevoli, i documenti verificabili a fatica, le rogatorie internazionali lente. L'inchiesta è durata tre anni, il processo si è aperto il 20 aprile 2004 per dare «una seppur tardiva risposta alle attese di giustizia», ha detto ieri De Paolis.
«Le richieste sono pesantissime, ma congrue con l'impianto accusatorio», riconosce l'avvocato Federica Eminente, di famiglia ebrea, difensore d'ufficio dell'ex sergente Sonntag. Il legale non svela come si opporrà al pm: lo farà in aula martedì prossimo. Probabile che cercherà di distinguere tra le responsabilità di chi ha ordinato l'eccidio e di chi ha dovuto eseguire ordini. Ma non domanderà l'assoluzione del suo assistito.
La sentenza il 23 giugno.
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