Strage sul volo delle vacanze Muoiono oltre 150 passeggeri

All’ozio della spiaggia, a bagni e tuffi e gite in barca, a creme abbronzanti e alla buona cucina, a una stanza d’albergo e ai giochi di bambini sulla sabbia, a notti pazze in discoteca e magari a qualche nuovo amore: a tutto questo pensavano, ieri pomeriggio poco dopo le due, i passeggeri del MD82 della Spanair che stava decollando da Madrid per volare alle Canarie. A queste piccole felicità ormai così prossime, pensavano; a questi scampoli di vita. Eppure di vita gliene restava così poca.
Si sono salvati solo in ventidue. Per la precisione della cronaca, dai rottami dell’aereo erano usciti vivi in ventitré. Ma una di loro è morta in ambulanza mentre la portavano in ospedale: era una bimba di due anni. Per un istante ci eravamo illusi che almeno per lei il miracolo ci fosse, ma evidentemente in questi Trionfi della Morte così simili a certi dipinti medievali la scena non prevede alcun raggio di luce.
Sono morti in più di centocinquanta. Non è ancora chiaro il perché. Sul sito di Madrid-Barajas è scritto che il terminal 4, quello dove s’è consumata la tragedia, «ha trasformato l’aeroporto in uno dei più sicuri del mondo». Dicono poi che l’aereo - un McDonnell Douglas di seconda generazione - fosse tra i più affidabili, anche se non era giovanissimo. Dicono pure che fino a ieri ne erano caduti sei, e aggiungono «solo» sei, perché il primo volo di questi aerei è del 1981, chissà da allora quante migliaia e migliaia di viaggi. Ma in tutti gli incidenti c’è sempre una statistica rassicurante, una tabella che prima del viaggio tranquillizza, capita una volta su mille, anzi su diecimila, su centomila: tutto vero ma tutto senza senso per coloro ai quali tocca essere contabilizzati come tragica eccezione.
Dicono dunque che dev’essere successo qualcosa: forse un’avaria a un motore, forse un errore umano; una frenata troppo brusca, sostiene qualcuno. Fatto sta che sul tabellone elettronico dell’aeroporto di Madrid-Barajas - il secondo in Europa, il decimo nel mondo - a un certo punto hanno dovuto modificare qualcosa. Alla voce «Origen: Madrid-Barajas» il volo JKK5022 era così registrato: «El vuelo ha despegado a las 14.14». Ma a fianco, alla voce «Destino: Gran Canaria», la scritta «Llegada prevista a las 14.55», ha dovuto presto essere cancellata. È rimasto quel «Destino», e mai come in questi casi la lingua fa la differenza: «destino», una parola così diversa, per noi, da «destinazione». Forse solo il destino può spiegare perché quei centocinquantuno erano attesi da un’Ombra nera che chissà da quanto tempo attendeva.
Si muore tutti, e si muore per miliardi di motivi, anche per la più banale influenza. È vero poi quel che si ripete in queste occasioni: sono di più i morti in macchina che quelli in aereo, solo in Italia 5.600 all’anno. Però l’incidente aereo ci sgomenta. Non tanto per il numero delle vittime: un terremoto o un’alluvione ne fanno di più. È l’idea dell’inafferrabilità del Fato che sgomenta: tante persone che non si conoscono, anzi che mai s’erano incontrate e neppure sfiorate in tutta la loro vita, senza saperlo hanno un appuntamento comune che non possono disattendere; un appuntamento comune preparato da decenni e forse da sempre attraverso una misteriosa concatenazione di coincidenze, di arrivi e di partenze, di anticipi e di ritardi, di conoscenze e di incontri, insomma un inestricabile groviglio di fatalità. Partite dai posti più diversi e più lontani nello spazio e nel tempo, oltre centocinquanta persone si sono incontrate ieri a Madrid-Barajas per congedarsi tutte insieme da questo mondo. E poi colpisce, negli incidenti aerei, il sapere che è stato sì uno schianto ad uccidere, ma prima dello schianto c’è un momento - siano anche pochi secondi - in cui capisci che sta per finire. È per questo istante di supremo terrore che le tragedie aeree ci appaiono più atroci delle altre.
I poveri morti di ieri hanno dovuto subire anche il consueto oltraggio della burocrazia. Per ore e ore il governo spagnolo ha diffuso dati al ribasso: venti morti, trenta, quaranta quando ormai tutti sapevano dell’entità del massacro. I soccorritori parlavano di centocinquanta morti, uno diceva: «È la cosa più simile all’inferno che abbia mai visto». Ma il protocollo esige sempre, in questi casi, che le autorità distillino i morti con il contagocce, si danno i numeri solo di coloro con identità certa. E mentre arrivavano in aeroporto i familiari delle vittime (solo quando arrivano i familiari il dolore diventa vero dolore) le agenzie di stampa battevano le reazioni dei mercati: «Sas, la compagnia svedese che controlla la Spanair, perde il 6,8 per cento alla Borsa di Stoccolma». È cinico, anche se comprensibile e doveroso, perfino l’affannarsi delle ambasciate che chiedono: c’è anche qualcuno dei nostri?
I poveri morti di Madrid-Barajas non hanno avuto neppure granché di attenzione dalle tv. La loro sorte non aveva contemplato lo spettacolo cui siamo abituati in questo nostro tempo in cui vediamo tutto in diretta o almeno in differita: aerei che si infilano nei grattacieli, bambini spazzati via da uno tsunami, Tir che invadono la corsia opposta, ostaggi fucilati in mondovisione.

Ieri niente o quasi: solo una nube di fumo ripresa da lontano. Troppo poco per suscitare emozione e pietà. Quando poi a tarda sera ci hanno detto che tra i morti non ci sono italiani, abbiamo ripreso le nostre vacanze con un certo sollievo.
Michele Brambilla

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