Studenti e amici ricordano il giurista ucciso dalle Br

Agli studenti arriva il messaggio di Marina Orlandi, vedova di Marco Biagi: «Cari ragazzi, desidero che sappiate che la professionalità del gruppo guidato dal dottor Rizzi mi ha aiutato a superare giorni terribili». A leggerlo è Vittorio Rizzi, oggi capo della squadra mobile di Milano, inviato nel 2002 a Bologna per scoprire chi aveva ucciso il professore. Il racconto di quell’indagine è diventato un libro («Codice 955») scritto da Maurizio Dianese che ieri, insieme a Rizzi, è stato invitato alla Bocconi dagli studenti della rete Lilliput per ricordare Marco Biagi. I primi a prendere la parola sono due docenti di diritto del lavoro. «Conoscevo Marco dal ’76, era cattolico, si iscrisse al Psi ed è sempre stato convinto delle necessità di innovare il mercato del lavoro» racconta a una ventina di ragazzi Stefano Liebman. Ricorda della collaborazione di Biagi con i ministri Treu, Bassolino e poi con Maroni, della stesura della legge che oggi porta il suo nome. «È stato travolto dalla radicalizzazione dello scontro politico» è il rammarico di Liebman. «Il suo non era un lavoro ideologico, voleva solo risolvere dei problemi» aggiunge Maurizio Del Conte. I due docenti, e altri amici del professore, si ritroveranno a pranzo con Marina Orlandi.

Nell’aula, la parola passa a Dianese e Rizzi che raccontano agli studenti come «è stato possibile trovare un gruppo di terroristi sconosciuti e dalla vita in apparenza normale partendo dal nulla». Una corsa contro il tempo cercando di dare un senso a milioni di piccole tracce, come il numero di telefonino che finiva per 955 e che portò alla Lioce.

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