Johannesburg - Un giovane immigrato avvolto dalle fiamme, inseguito dai suoi assalitori. E' senz’altro la testimonianza più drammatica, pubblicata da tutti i quotidiani sudafricani, delle sanguinose aggressioni di matrice xenofobica cominciate domenica 11 maggio e intensificatisi da venerdì nei sobborghi di Johannesburg un tempo riservati ai sudafricani neri, lì confinati dal regime dell’apartheid.
Il massacro etnico Nelle ultime 72 ore hanno provocato non meno di 22 morti, in gran parte stranieri, tra i quali tre bambini, uccisi a colpi di machete o con armi da fuoco, o bruciandoli dopo avergli versato benzina addosso. "Vi prego, fermate subito queste violenze. Non è questo il modo di agire, sono nostri fratelli e nostre sorelle", ha supplicato con tono sofferto il premio Nobel per la pace Desmond Tutu ricordando che le vittime delle aggressioni vengono da paesi in passato rifugio dei combattenti per l’indipendenza. "Non possiamo ringraziarli uccidendo i loro figli, non possiamo disonorare la nostra lotta con questi atti di violenza".
Caccia all'immigrato Tutto è scoppiato, secondo alcune ricostruzioni non confermate, quando alcuni giovani hanno ucciso un commerciante somalo ad Alexandra, una delle maggiori baraccopoli che circondano Johannesburg: nei giorni successivi la violenza si è poi sparsa a macchia d’olio in altri sobborghi poveri dove giovani sudafricani hanno attaccato immigrati zimbabwani, mozambicani, malawiti, somali. Alcuni giornali riferiscono che gli aggressori gridavano "fuori gli stranieri", accusati di rubare il lavoro e di alimentare la criminalità. Se è significativa l’immagine del giovane che brucia tra le fiamme non lo è di meno quella, ripresa dagli operatori televisivi, di poliziotti in divisa che puntano il loro fucile a pompa ad altezza d’uomo, nel tentativo di fermare le violenze. "Non è xenofobia, stiamo parlando di criminalità", afferma il portavoce della polizia sudafricana, Govindsamy Mariemuthoo, che parla anche di oltre 200 arresti compiuti.
La fuga nelle chiese Per sfuggire alle aggressioni e alla morte migliaia di immigrati si sono rifugiati in edifici pubblici e in chiese, ma una di queste, nella quale si erano raccolti 1000 zimbabwani, è stata attaccata anch’essa. "La polizia non ce la fa, deve intervenire l’esercito", sostiene un abitante mozambicano del sobborgo di Tembisa, Beto Inancio, mentre in telefonate alle stazioni radio locali molte le richieste di coprifuoco e dell’impiego immediato di reparti militari per riportare l’ordine. Il presidente Thabo Mbeki ed il vicepresidente Jacob Zuma - che gli è da poco succeduto al comando dello storico partito dell’Anc e si prevede possa vincere le elezioni presidenziali del 2009 - hanno chiesto a gran voce la fine delle violenze, mentre Nelson Mandela, l’icona dell’indipendenza sudafricana e della lotta contro l’apartheid, orami ultranovantenne, si è detto rattristato da quello che succede.
Un'amministrazione paralizzata Oltre 50 milioni di abitanti - un’immigrazione che raccoglie da tre a cinque milioni di stranieri - disoccupazione al 23 per cento (ma le cifre reali, si dice, sono molto più alte di quelle ufficiali), aspettativa di vita che non va oltre 51 anni, il Sudafrica è caratterizzato anche dal più alto tasso di stupri e omicidi del mondo.
Molti se la prendono con Mbeki che accusano di aver in qualche modo protetto il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, non condannando severamente la sua politica e le sue scelte economiche, causa di un’inflazione calcolata al 165.000 e che ha provocato l’enorme numero di immigrati in Sudafrica, anche grazie a norme e regolamenti loro favorevoli. Qualche voce alla radio locali ha supplicato il governo di proclamare lo stato di emergenza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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