Eugenio Di Rienzo*
Il Giro del mondo in ottanta giorni, pubblicato da Jules Verne nel 1873, non sarebbe stato mai scritto se l'apertura del Canale di Suez inaugurato ufficialmente il 17 novembre 1869, dopo dieci anni di lavori non avesse tracciato la «via orientale verso l'Oriente» in grado di rendere immensamente più veloce il tragitto verso l'India, la Cina e il Sud-est asiatico. Se la galleria del Moncenisio, ultimata nel 1871, permetteva di compiere il viaggio Londra-Brindisi in treno, arrivati nel porto pugliese, merci e viaggiatori europei potevano, infatti, far rotta verso l'Asia in poco meno di novanta giorni perché il taglio dell'istmo consentiva, ormai, di raggiungere quella destinazione senza circumnavigare l'Africa.
Come ci mostra Marco Valle, nel suo importante volume, Suez. Il Canale, l'Egitto e l'Italia, Da Venezia a Cavour, da Mussolini a Mattei (che colma una lacuna della storiografia italiana e che a tutt'oggi costituisce l'unica opera su questo tema presente nel catalogo editoriale del nostro Paese), dopo l'apertura delle rotte atlantiche nel XVI secolo, la nuova «via delle Indie» fece riacquistare al Mediterraneo e di conseguenza anche al nostro Paese una nuova giovinezza economica e strategica, come collegamento privilegiato tra Mediterraneo e Oceano Indiano. Il Canale costituiva un tragitto alternativo, ambito da tutte le potenze europee, prima fra tutte l'Inghilterra, che si sforzò di favorire il processo unitario italiano con lo scopo di utilizzare il meridione della Penisola come avamposto del suo impero, potendo contare su un Regno d'Italia (amico e cliente), che, impiantato nel cuore del Mediterraneo occidentale, doveva assicurare il libero transito dei navigli britannici.
I disegni e le preoccupazioni di Londra risalivano alla fine del XVIII secolo, quando il primo Bonaparte, nel corso della campagna militare in Egitto e Siria, comprese che l'apertura della direttissima di Suez avrebbe potuto emancipare l'Asia meridionale dal dominio di Londra. Né i timori della Gran Bretagna per un'azione contro l'India cessarono dopo il 1815, ma anzi si rafforzarono quando Napoleone III prese l'iniziativa di aprire una nuova «via delle spezie», con il taglio dell'istmo di Suez. Questo progetto era già riemerso con forza quando, su ispirazione del Cancelliere austriaco Klemens von Metternich, fu fondata nel 1846, a Parigi la Société d'Etudes du Canal de Suez. Del gruppo di lavoro facevano parte esperti francesi, inglesi, austriaci e, tra questi ultimi, l'ingegnere capo delle ferrovie del Lombardo-Veneto, il trentino Luigi Negrelli. Fu proprio il progetto di Negrelli a essere selezionato da una Commissione scientifica internazionale, costituitasi, nel 1854, sotto l'egida della Francia e dell'Egitto per iniziativa dell'imprenditore Ferdinand de Lesseps.
A nulla valse la resistenza dell'Inghilterra per sabotare l'impresa, che prese avvio il 25 aprile 1859. La sconfitta di Londra si tramutò, però, in un'ampia vittoria diplomatica, perché, terminati i lavori, la gestione amministrativa economica e militare del nuovo percorso marittimo fu attribuita alla «Compagnia del Canale», dove sedevano i soli rappresentanti della Francia e del Regno Unito, quest'ultimi come azionisti di maggioranza dopo il 1875. Inoltre, dopo il conflitto anglo-egiziano del 1882, «Albione perfida e rapace» fortificò ulteriormente la sua posizione di egemonia arrivando, così, al controllo incontrastato dell'autostrada acquatica che collegava la nebbiosa isoletta dell'Atlantico al più prezioso gioiello del suo impero.
L'Italia, nonostante la sua posizione geostrategica, fu esclusa da ogni partecipazione alla Compagnia del Canale. E ciò avvenne nonostante i tentativi esperiti nel 1882 dal ministro Pasquale Mancini (respinti da Londra) di «organizzare per la libera navigazione del Canale di Suez un servizio puramente navale di polizia e sorveglianza al quale tutte le potenze sarebbero chiamate a partecipare». Paga del suo ruolo di junior partner della «Dominatrice dei Mari», e rassicurata dalla convenienza del cosiddetto «sistema mediterraneo», la nostra diplomazia non insistette, infine, sulla possibilità di partecipare, insieme alla Spagna, all'amministrazione del Canale.
La musica cambiò con Mussolini, che dopo aver conquistato l'Etiopia non fece più mistero delle sue pretese sulla «nuova rotta delle Indie». Dalla fine del conflitto, Palazzo Venezia avanzò, con insistenza crescente, ma senza trovare ascolto, l'istanza di «spezzare la sbarre del Mediterraneo che imprigionavano l'Italia nel suo stesso mare», arrivando all'internazionalizzazione di Gibilterra e a una partecipazione del nostro Paese all'amministrazione della Compagnia. Riproposte ancora nella primavera del 1940, come conditio sine qua non per mantenere l'Italia in uno stato di neutralità, queste richieste non ebbero esito. Infine Londra si dichiarò favorevole all'ingresso di un rappresentante italiano nel Board of Directors of the Suez Canal Company che poteva essere reso possibile una volta che si fossero superate alcune difficoltà procedurali. Il soddisfacimento delle ambizioni italiane arrivò, però, troppo tardi. Il tempo delle trattive era ormai finito e il 10 giugno la parola passò alle armi. Con scarso successo, però. L'unico importante risultato fu colto, infatti, dalla Regia Marina che, con il blocco del Mediterraneo centrale e dell'Egeo, riuscì a paralizzare la rotta Gibilterra-Suez, arrecando un grave danno allo sforzo bellico britannico che, dopo il 7 dicembre 1941, si trasformò in un vulnus importante per il British Empire impegnato contro il Giappone nel teatro asiatico.
La rivincita dell'Italia si ebbe nel dopoguerra quando Roma abbandonò «la politica delle armi» per imbracciare «le armi della politica». La crisi mediorientale iniziata nella seconda metà del 1955, sfociata nella nazionalizzazione del Canale, aprì nuovi scenari alla nostra politica e offrì l'opportunità per un'azione ardita e consapevole rivolta a rinnovare la nostra presenza sulle principali direttrici della politica italiana. Il Medio Oriente, l'Africa settentrionale, e con essi il nodo di Suez, furono il banco di prova del cosiddetto «neo-atlantismo». In quel quadrante internazionale, con De Gasperi, Mattei, Fanfani, e poi con Andreotti, Moro, Craxi si misurò la capacità italiana di raggiungere lo status di grande media potenza mediterranea, prima del malinconico e inarrestabile declino della nostra politica estera. Questo e moltissimo altro il lettore potrà trovare nella monografia di Marco Valle, che è opera scientificamente irrimproverabile ma anche studio appassionato, nutrito da una raffinata comprensione dei temi geopolitici che furono anche grandi problemi di nostro prioritario interesse nazionale, e capace, come pochi, di coniugare, virtuosamente, la storia del passato all'analisi del presente. Suez.
Il Canale, l'Egitto e l'Italia è, infatti, un saggio «adatto al tempo e all'ora», redatto in vista dell'approssimarsi del momento in cui il varco di Suez, ora raddoppiato nella sua capacità di transito, sarà chiamato a competere con la «nuova via della seta» (Silk Road Economic Belt) e con la sua controparte marittima (Maritime Silk Road) che collegherà i porti della Cina agli approdi dell'Africa e della Penisola Arabica, con conseguenze facilmente intuibili per l'intera area mediterranea, l'Europa e, forse, soprattutto per l'Italia.*docente di Storia alla Sapienza
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