Roma

Suicida dopo stupro, telefonata ai genitori: «Ho il diario di Evelyn»

«Sono in possesso di tutti i documenti di vostra figlia». È quanto ha detto al telefono una persona anonima, maschio, molto probabilmente giovane, ai genitori di Evelyn Moreiro, la ragazza di 19 anni, sudamericana, residente a Montefiascone, in provincia di Viterbo, che nel novembre 2009 si impiccò in una casa d’accoglienza. I documenti di cui l’anonimo interlocutore ha asserito di essere in possesso non può essere altro che il diario di Evelyn, già inviato in copia agli stessi genitori, nel quale la giovane descrive dettagliatamente due stupri subiti e mai denunciati. Stupri che, secondo il padre e la madre, potrebbero averla spinta al suicidio.
Attraverso i tabulati gli investigatori potrebbero dare un nome e un volto all’autore della telefonata e scoprire se si tratti di un mitomane o sia davvero in possesso del diario. In questo caso dovrebbe spiegare come l’ha avuto e perchè ha atteso quattro mesi prima di inviare una copia ai genitori.
Dopo aver ricevuto quelle pagine, il padre e la madre della ragazza hanno presentato un esposto alla procura della Repubblica di Tivoli, competente per territorio su Rignano Flaminio, dove sarebbe avvenuto la prima violenza, e hanno chiesto la riapertura delle indagini. Nella denuncia hanno indicato anche il nome del presunto stupratore. È un giovane di circa 21 anni che Evelyn frequentava prima di trasferirsi con la famiglia da Rignano Flaminio a Montefiascone. All’epoca lei aveva 16 anni, lui 18.
Ma l’inchiesta della Procura della Repubblica di Tivoli procederà d’ufficio. Dunque, a prescindere dalla denuncia che i genitori hanno presentato dopo aver ricevuto per posta il 17 aprile scorso le copie dei fogli in cui descrive le violenze sessuali. Il secondo episodio annotato dalla ragazza agli inizi del 2006, infatti, si sarebbe verificato in un bagno di Viterbo, quindi in un luogo pubblico. Una circostanza, quest’ultima, che costituisce aggravante e che impone appunto la perseguibilità d’ufficio. «Mi sentivo male e mi sono recata in un bagno pubblico di Viterbo. Ho vomitato. Poi è entrato lui ed è successo come la prima volta - ha scritto la giovane -, ma è stato più brutale e doloroso. Ero terrorizzata al pensiero di essere rimasta incinta di quell’essere e mi sono rivolta all’assistente sociale di Villa Buon Respiro (una casa di cura di Viterbo, ndr), la quale mi ha fatto comprare un test di gravidanza che abbiamo fatto insieme. È comparsa solo una riga rossa. Quindi era negativo. Non le ho detto quanto era accaduto. Non l’ho detto a nessuno.

Anche a mia madre ho detto che mi ero sentita male».

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