RomaTutti contro tutti sul processo breve. Nel giorno in cui alla Camera va in scena l’ostruzionismo dell’opposizione col placet del presidente Gianfranco Fini, il Csm approva, a larga maggioranza ma col voto contrario del Pdl e il non voto della Lega, il documento che definisce la prescrizione breve una «sostanziale amnistia», scatenando le ire del Pdl, che stigmatizza come contenuti e tempistica certo non siano «in linea con l’autorevole richiamo alla correttezza del rapporto fra le istituzioni» da parte del Colle.
E a Montecitorio è stata la notte dei lunghi cavilli. Una notte dai toni forti che porta anche il deputato dell’Idv Fabio Evangelisti a chiedere al presidente di turno Maurizio Lupi di mettere in fila una serie di assistenti parlamentari «perchè- dice- è venuto un collega che ci ha detto state calmi o qui ci scappa il morto...». Una boutade presa sul serio.
Il tranello del diabolico Giachetti, Pd (non per nulla un ex Radicale) trova un alleato «sub partes» in Fini, che lascia fare e forse se la spassa per l’imboscata tesa alla maggioranza (qui molto ingenua). Si salda immediatamente l’asse sinistra-terzo polo, il fasciocomunismo del sofisma regolamentare. Il trucco è far intervenire a titolo personale tutti i deputati abilitati a farlo, avendo preso parola il giorno prima, per (scusa ufficiale) chiarire il proprio pensiero e inserirlo nell’ormai famigerato «processo verbale», cioè il resoconto dell’ultima seduta. Siccome il regolamento prevede (articolo 32) che sul processo verbale abbia diritto a parlare «chi intenda proporvi una rettifica, o a chi intenda chiarire il proprio pensiero espresso nella seduta precedente, oppure per fatto personale», anche per emerite sciocchezze, il Pd - seguito a ruota da Idv - ha scatenato una cinquantina di deputati a cui sono stati dati cinque minuti l’uno: circa 250 minuti , più di quattro ore, tutta la mattina di lavori. Per dire nulla o poco più, pretesti per perdere tempo, anche ridicoli (la precisazione sul culatello del piddino Vannucci...), senza che Fini trovi da obiettare. Anche quando era chiaro a tutti, persino al Pdl, che si trattava di una trappola, di ostruzionismo puro (cui i pidiellini hanno aggiunto, genialmente, altri 40 minuti di interventi per dire che gli altri perdevano tempo in interventi). Fini, in quanto presidente dell’assemblea poteva stabilire tempi diversi da quelli massimi di cinque minuti, ma non l’ha fatto (come poco dopo anche il presidente di turno Buttiglione, «ripreso» dal leghista Raffaele Volpi).
Una scelta precisa, come dimostrerebbe quanto successo in un incontro riservato, a metà mattinata, dopo le proteste del centrodestra, tra Fini, Cicchitto e Reguzzoni. Nel faccia a faccia i due capigruppo avrebbero contestato a Fini la gestione dell’aula, la sequela «indecente» di interventi, un «ostruzionismo potenzialmente eversivo», «senza precedenti» e «inaccettabile». Ma Fini avrebbe risposto di aver deciso di concedere tutti i minuti a disposizione per gli interventi, nonostante la perdita di tempo mai avvenuta per un banale processo verbale della seduta precedente . Di fronte al rifiuto di Fini di mettere fine alla sceneggiata, Cicchitto ha chiamato - raccontano fonti di maggioranza - il presidente della Repubblica, che avrebbe poco dopo sentito Fini (ma lo staff del leader Fli smentisce) per sollecitare un segnale da parte sua. Che in effetti c’è stato, dopo un incontro tra Fini e Maurizio Lupi, vicepresidente Pdl della Camera. La moral suasion (mediata o no dal Colle) si è materializzata in un comunicato in cui Fini ha fatto sapere che non si sarebbe più ripetuto il fattaccio, e che d’ora in poi «il tempo sarà ridotto proporzionalmente al numero degli iscritti a parlare». Parole messe alla prova subito dopo, visto che la seduta è ripresa alle 21, con tanto di «precettazione» per tutto il Pdl, preoccupati per un altro blitz del Pd contro il testo.
Per la maggioranza l’incidente di ieri è l’ennesima prova della faziosità di Fini.
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