Sull’università Fli imita i cattivi maestri di sinistra

Titolo sacrosanto quello del Giornale del 5 ottobre: «Decidetevi: pace o voto subito. Così non si può andare avanti». Ogni giorno che passa vede il Paese affondare in un pantano nauseante anche per gli stomaci più forti. Il gioco del cerino produce una paralisi insostenibile. L’ultimo episodio - in corso - è quello della riforma universitaria. È una legge buona per certi versi, discutibile per altri, ma che è stata positivamente emendata e costituisce una soluzione accettabile e ormai indispensabile per non andare al crollo di un’istituzione di cui un Paese civile e avanzato non può fare a meno. Oltretutto è una legge (...)
(...) sostenuta non soltanto dalla maggioranza ma promossa da buona parte del Pd. Ma ora, pur di evitare che il governo consegua un risultato, il Pd si sfila e cerca di rallentare il calendario dei lavori, e il presidente della Camera tiene bordone avallando uno slittamento che (malgrado alcuni correttivi) condurrà all’affossamento della legge. Pur di vincere l’ennesimo round del gioco del cerino si fa pagare un prezzo altissimo al Paese.
Siamo arrivati al punto che chi parla di contenuti, di idee, di programmi, di cose da realizzare fa la figura dell’ingenuo, se non del tonto. Però, sarebbe il caso di ricordare che l’eccesso di furbizia è stretto parente della mancanza di intelligenza, se non della pura e semplice stupidità.
Al contrario, confrontarsi sulle idee è la cosa più concreta che esista. Perché mai, quando i «finiani» hanno avanzato la richiesta di un confronto di idee proponendosi come alfieri di una destra moderna e «all’altezza dei tempi», non li si è presi sul serio chiedendo di esplicitare cosa volessero? È legittimo porre il problema delle politiche per l’immigrazione, ma non basta dire che si vuole un «modello organico e adeguato alla rilevanza delle sfide attuali»: così siamo soltanto alle chiacchiere. È giusto che una destra «moderna» si ponga il problema di una gestione regolamentata che porti all’integrazione e non alla pura e semplice chiusura. Ma a una simile apertura deve corrispondere una visione molto strutturata dell’identità culturale nazionale su cui costruire l’integrazione e una definizione precisa dei contenuti culturali e ideali da trasmettere, in particolare attraverso la scuola. Ma di una simile visione non c’è traccia.
Piuttosto si assiste al ripescaggio di fumisterie come quella del «pensiero meridiano» della sinistra pugliese: «Quel pensiero che inizia a sentir dentro laddove inizia il mare, quando la riva interrompe gli integralismi della terra, quando si scopre che il confine non è un luogo dove il mondo finisce, ma quello dove i diversi si toccano e la partita del rapporto con l’altro diventa difficile e vera». A parte il ridicolo di considerare l’integralismo roba da appassionati della montagna, sarebbe una destra «modernissima» quella che non trova di meglio che raccattare il ciarpame dadaista di una certa sinistra in crisi di idee? Se Futuro e libertà è ridotto a ricercare un’identità su una simile «straordinaria metafora», non c’è da stupirsi che alla fine resti in mano con la proposta della cittadinanza breve e del Corano a scuola.
Nulla da eccepire sul desiderio di promuovere una discussione aperta sui temi bioetici, ma credere che sia «modernissimo» farlo prendendo per il collo come bigotti reazionari coloro che pongono il problema degli eccessi della tecnoscienza e della manipolazione genetica - spesso persone laiche e di sicura preparazione scientifica - non è una manifestazione di razionalità. È curiosa una forza politica che si presenta di destra mentre propugna l’abbandono della distinzione tra destra e sinistra in quanto categorie storiche «superate», e al contempo propone l’introduzione a scuola «dell’educazione ai sentimenti», ovvero una forma di banale costruttivismo sociale di stampo totalitario, confezionato nella cucina di sinistra dello zapaterismo e che ha anche precedenti storici nei corsi di «mistica fascista».
Insomma, per ora la proposta di Futuro e libertà appare come una miscela incongrua delle componenti più svariate - richiamo all’identità nazionale e retorica della «diversità», costruttivismo sociale e relativismo etico - ora raccolte dal patrimonio di una sinistra in crisi, ora reminiscenti di posizioni dannunziane o del fascismo antemarcia (il Mussolini del 1920, ancora ben lontano dalle posizioni che lo portarono al Concordato, si dichiarava «super-relativista»).
Ma se Futuro e libertà si presenta come una raccolta di tutto e il contrario di tutto - e ciò svela lo strumentalismo politico che lo ispira - il carattere variegato della miscela appare particolarmente visibile in quanto essa è concentrata in un piccolo spazio. Ciò non toglie che molte delle stesse caratteristiche e delle stesse contraddizioni si presentano nel Pdl, ed è forse questa una delle ragioni che rende inesistente il confronto di idee e, conseguentemente, di programmi, finendo col trascinare tutto sul terreno della politica politicante, quella che «non può più andare avanti così». Sarebbe fin troppo facile elencare le situazioni, anche sul terreno legislativo, in cui il centrodestra ha mostrato pochezza. Anche le più importanti iniziative sul terreno dell’istruzione promosse dal ministro Gelmini hanno incontrato ostacoli in ambienti del centrodestra in nome di idee identiche a quelle che ispiravano l’opposizione. In molti casi, ci si è piegati al più smaccato costruttivismo sociale, come nel caso del riproporre ora l’«educazione all’affettività», ora l’«educazione alla cittadinanza», ora la «matematica del cittadino». Quale contraddizione, propugnare da un lato la difesa della famiglia, e dall’altro promuovere iniziative che conferiscono allo Stato la formazione della personalità non soltanto culturale ma etica, morale e persino affettiva dei giovani! E che dire della recente approvazione bipartisan di una legge sui «disturbi specifici di apprendimento» che costituisce, oltre che un aggravio enorme per le casse statali, un passo ulteriore verso la medicalizzazione della scuola e la sua trasformazione in organo assistenziale più che d’istruzione? E questo proprio mentre in Inghilterra sta nascendo un aspro dibattito attorno ai disastri creati dalla segmentazione della scuola in categorie di «disadattati» che ha condotto a classificare come Sen («Special educational needs») ben 700.000 ragazzi che per lo più avevano soltanto problemi di apprendimento.
Potremmo continuare. Aggrapparsi al costruttivismo sociale di stampo aziendalistico - e che sta fallendo pure nelle aziende - è l’ultima risorsa di una cultura di sinistra in crisi totale di idee e orfana dei propri ideali del passato. Ma dare credito a tutto questo nella credenza che occorra rivolgersi da quella parte quando si tratta di cultura è uno dei peggiori errori compiuti dal centrodestra. In parte si tratta di un persistente complesso di inferiorità, in parte di un disinteresse per la cultura, quasi si tratti di un orpello marginale rispetto alle «cose concrete».


Sta di fatto che a forza di concentrarsi sulle «cose concrete» il dibattito politico si è ridotto a un livello culturale e a una pochezza di idee desolanti. Ormai c’è soltanto la politica politicante e, come esito finale, il gioco del cerino. Di cui probabilmente l’ultima vittima sarà la riforma universitaria e l’università stessa.

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