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Surreali, selvagge e gotiche Ecco le dame nere della moda

La donna di Givenchy veste cappotti ispirati ai tatuaggi Maori e riscopre l’esotismo. Gaultier gioca col fascino proibito delle favole

Daniela Fedi

da Parigi

I sogni dell'alta moda generano mostri, belli e misteriosi come il classico sposo-animale delle fiabe. Lo dimostrano le due sfilate più gotiche e interessanti della settimana dell'haute couture che si è appena conclusa a Parigi: Givenchy e Gaultier. Riccardo Tisci, trentunenne direttore creativo della mitica maison francese in cui si vestiva Audrey Hepburn, ha dato una superba prova di bravura e modernità con la bellissima collezione chiamata Mappemonde perché ispirata da una ricerca sulle etnie che svela come ci siano pigmenti neri anche nella pelle dei bianchi e viceversa. Jean Paul Gaultier ha invece lavorato sulle fiabe nell'improbabile ma affascinante interpretazione che ne avrebbero data gli esponenti del surrealismo: da Breton a Buñuel, da Magritte a Dalí. Il risultato è stato in entrambi i casi difficile da leggere ma d'altissimo livello: un dark romantico che a ben guardare corrisponde agli umori della società. In quest'ottica la fastosa sfilata di Christian Lacroix non aveva mistero e rassicurava gli animi con una lezione di haute couture. Più divertente anche se molto meno chic come è giusto che sia trattandosi di prêt-à-porter destinato al pubblico giovane, la linea «Galliano» presentata ieri nel quartier generale dell'immaginifico stilista di Christian Dior, rappresenta un gran bel colpo segnato dall'industria italiana nel mondo. Infatti il Gruppo It Holding di Isernia ha firmato una licenza quinquennale con questo genio creativo. In soli 9 mesi il nuovo sodalizio ha prodotto una collezione di 330 pezzi con più di 10 stampe e 30 diversi tipi di ricami che sicuramente avranno molto mercato perché un paio di jeans d'autore costa 350 euro.
La sfilata di Givenchy è cominciata con la musica struggente e solenne di Vangelis per poi proseguire con una strana colonna sonora in cui s'individuavano versi d'animale tra i ritmi tribali. I modelli erano esattamente così: cupi, ieratici e fascinosi: un esercizio di stile difficile ma proprio speciale sulle varie suggestioni del mondo. I tatuaggi dei Maori diventavano straordinarie inclusioni nel tessuto marrone scuro dei cappotti. Pare ci fossero citazioni su usi e costumi di Bosnia, India, Birmania, Africa, Marocco, Algeria e Brasile, ma a essere sinceri abbiamo colto soprattutto la commovente bellezza di alcuni capi: il trench con sprone e tasche di cristallo; la pelliccia di visone beige scolpita a mano nell'inconfondibile disegno del mantello della tigre; l'abito bustier in pelle d'anguilla nera e tutti i vestiti da sera color carne, bianco-panna ed ebano.
Jean Paul Gaultier ha invece fatto fare una serie di cappelli con i capelli delle modelle: tube e bombette magrittiane per completare un'immagine fiabesca e surreale. C'erano modelli con inseriti gli animali delle favole ricostruiti dal vero in sartoria: il gallo al posto della manica, la volpe nell'abito da sera, il corvo con tanto di ala sulla spalla della giacca di piume. Un vestito meraviglioso riproduceva la scheletro umano con tagli e trasparenze magistrali nel raso color ciclamino. Un altro aveva la crinolina spostata di lato come se i fantasmi del castello incantato stessero tentando di spogliare la fata Morgana. «Stavolta Gaultier era meno divertente del solito» hanno detto alcuni tra i presenti dimenticando l'immortale pensiero di Franz Kafka.

Che diceva: «Tutte le fiabe hanno origine nel sangue e nella paura».

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