"Il tabù dei legal thriller? È il mistero irrisolto"

Il bestsellerista americano Scott Turow parla del suo "Presunto colpevole" con protagonista l'ex giudice Rusty Sabich

"Il tabù dei legal thriller? È il mistero irrisolto"

Tredici romanzi e due opere di saggistica, tradotti in più di quaranta lingue con oltre 30 milioni di copie vendute in tutto il mondo raccontano meglio di ogni commento chi sia Scott Turow. Di recente definito parte di una «élite» di narratori, quelli che hanno ridefinito il legal thriller, Turow rimane però per molti lettori quello di Presunto innocente, bestseller del 1986 considerato un classico contemporaneo, che ha ispirato un film con Harrison Ford e più di recente un adattamento per Apple Tv con Jake Gyllenhaal. Il suo ultimo romanzo - presentato ieri al Salone del Libro di Torino in una conferenza stampa monopolizzata dalle domande su Trump e su Papa Leone, visto che sia Turow sia Prevost hanno in comune Chicago - punta sul quel successo di 40 anni fa anche nel titolo: Presunto colpevole (Mondadori, pagg. 564, euro 24; traduzione di Sara Crimi e Laura Tasso) è il terzo volume a vedere protagonista l'ex procuratore e giudice in pensione Rusty Sabich. Bella casa sul lago, 77 anni, una compagna, Bea e un nuovo enigma da risolvere: la sparizione di Aaron, figlio adottivo di Bea, poco più che ventenne, in libertà vigilata e con problemi di droga. Quando Aaron ricompare, porta con sé la sciagura: in teoria era in campeggio con Mae, la sua ragazza, che dopo un paio di settimane viene ritrovata morta. Cominciano i guai, e le indagini, su un evidente presunto colpevole e Rusty non può sottrarsi alla sfida.

Come mai questo ritorno a Rusty Sabich?

«È la seconda volta che torno a scrivere di Rusty dopo Presunto innocente. Alla fine di Innocente, il secondo capitolo incentrato sulle sue avventure, Rusty non era proprio felice: sua moglie era morta, lui era appena uscito di prigione e la sua vita era a brandelli. Per cui, considerato che Sabich è stato il personaggio che mi ha cambiato la vita, sentivo che un po' glielo dovevo: era un obbligo restituirgli una vita più positiva e più felice, lo sapevo sin da allora. Quello che non sapevo quindici anni fa è di che cosa avrei scritto».

Esiste ancora qualche tabù oggi nello scrivere un legal thriller?

«Quando ho scritto la prima bozza di Presunto innocente, il libro finiva e io non dicevo chi era l'assassino. Da quel momento ho iniziato una lunga discussione con me stesso. Cercavo di riflettere su questo punto: quale fosse lo scopo di un mistery, ovvero un mistero da risolvere, visto che all'epoca non esisteva ancora il concetto di legal thriller. La mia conclusione è stata che quando hai a che fare con questo tipo di libri, con un tentativo di scoprire la verità in ambito giudiziario, se è vero che magari nella realtà uno esce da un tribunale e non si sa chi sia il colpevole, è anche vero che in quanto forma letteraria questo tipo di thriller si basa proprio sul trovare delle risposte. Magari non necessariamente punendo chi ha compiuto un atto malvagio, ma cercando di capire che cosa sia successo e perché. Diciamo che il tabù oggi è ancora quello che ho provato ad affrontare in quella prima bozza: non fornire un epilogo. Per fortuna però poi allora cambiai idea. Se non l'avessi fatto, oggi non sarei qui».

Che libro ha sul comodino qui in Italia?

«Proprio perché venivamo in Italia e anche sul lago di Como, ho deciso di leggere I promessi sposi. Manzoni mi è piaciuto moltissimo. Sono anche tornato su un libro che avevo abbandonato e che invece ora mi ha reso felice: Wolf Hall, di Hilary Mantel».

Qual è in questo momento il tema sul tavolo dei più grandi avvocati del mondo, quello su cui scrivere un romanzo?

«A livello mondiale in questo momento la questione legale fondamentale riguarda come si rapportano le istituzioni giuridiche rispetto al potere politico, soprattutto alla luce di quello che vediamo accadere quando il potere politico non va in una direzione auspicabile. Una tematica sempre molto affascinante per un romanzo e per gli scrittori in generale».

Che finale immagina per l'avventura di Trump?

«Non lo so. Perché nessuno di noi lo sa. Nessuno avrebbe scommesso due lire sul fatto che una persona giudicata colpevole di frode, sottoposta a tre processi penali in America e già eletta in precedenza Presidente senza grandi risultati avrebbe avuto tutto questo grande successo. Per molti di noi la situazione è talmente strana che facciamo fatica a capire come ragionino gli altri americani. La popolarità di Trump in questo momento è in netto calo, ma la cosa importante da vedere sarà se e quando i repubblicani decideranno di voltargli le spalle. Cosa che finora non è successa perché lui ha una presa notevole sul partito in generale e se uno gli dà contro finisce che perde il posto. In ogni caso tutte le previsioni che ho fatto io in passato riguardo a Trump non si sono mai avverate, per cui preferirei astenermi».

E su Papa Leone ha previsioni?

«Non ho tanti elementi su cui formulare una previsione.

Mi viene da dire che seguirà l'approccio di Papa Francesco sui migranti in particolare, in contrasto con quello di Trump. Ma non si pone come un guerriero: parlerà dal punto di vista della gentilezza e della comprensione piuttosto che attraverso le critiche».

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