Tabucchi, il «genio» troppo compreso

BATTAGLIA Chi osa criticarne i libri viene impallinato dalla contraerea amica

Tabucchi, il «genio» troppo compreso

La più bella delle anime belle non si sporca troppo le suole in Italia, lui passeggia per Lisbona o Parigi, civiltà colte e illuminate che meritano l’onore di ospitare cotanto scrittore. Con l’aureola di esiliato causa regime ha fatto la sua fortuna, Tabucchi. Sogna di essere Pessoa, ci prova simulandone l’esistenza di isolato e aspirante perseguitato, pessoeggia sui giornali (prima l’Unità, il manifesto, il Corriere, ora il Fatto dove ha pubblicato l’anticipazione del libro appena uscito, Il tempo invecchia in fretta, ed. Feltrinelli), sogna la censura del dittatore portoghese Salazar, ma gli tocca accontentarsi di Berlusconi (e a noi tocca accontentarci di Tabucchi). Icona del pensiero libero e della resistenza intellettuale, sposato con la nobile patrizia portoghese Maria José de Lancastre (famiglia di antichissimo lignaggio), cui lo unì il comune amore per la letteratura lusitana e l’insegnamento accademico, Antonio Tabucchi da Pisa si fa vanto di essere un engagé, l’intellettuale impegnato riottoso alla nota faccenda del bavaglio.
Venne fuori negli anni ’90 col suo primo best seller, Sostiene Pereira, accolto dalla critica con unanime ovazione, tranne qualche voce isolata messa subito a tacere. Successe a Luca Doninelli, che sul Giornale osò stroncare il romanzo dello scrittore già decretato «grande» nel risvolto di copertina, genio a prescindere. Tabucchi si inferocì, entrò in azione la cupola letteraria, sul Corriere della Sera il poeta Giovanni Raboni scrisse che quella stroncatura era l’anticamera per «un campo di concentramento o un vagone piombato», e non scherzava; il letterato militante Edoardo Sanguineti denunciò, anche lui senza scherzare: «Si è scatenata una battaglia contro il marxismo, tutte le altre posizioni sono invece legittimate. La destra è felice». Si capì subito che criticare Tabucchi era già reato di lesa maestà, e c’era poco da essere felici.
Le critiche sono indigeste per la coscienza civile di Antonio Tabucchi, cittadino di Lisbona fulminato da Pessoa a 20 anni, quasi per caso, y apena uno se permite de dirne mal, se incaza como un toro. Toccò a Massimo Onofri, critico letterario, che avendone sindacato il suo Tristano muore, confondendosi però tra eroina e cocaina, fu travolto dalla furia dello scrittore: «In un’intervista Tabucchi mi diede del cocainomane, interpretando il mio errore di fatto come una sorta di lapsus freudiano». Lezione numero uno: i monumenti non si toccano.
Messa in moto la macchina della beatificazione letteraria in vita, dietro la copertina di un successivo romanzo, Si sta facendo sempre più tardi (Feltrinelli), Tabucchi fece scrivere «è oggi considerato una delle voci più rappresentative della cultura europea». Anche se con grammatica e sintassi abbastanza originali. Citiamo alla rinfusa: «Ne sepolse i resti» (sepolse?), «A lei le piaccio» (a lei le?), «Se c’è un paradiso, te lo meriteresti» (non «se ci fosse»?), «Il passato, anche lui, è fatto di momenti» (lui?), «quello che sto essendo senza esserlo» (prego?), «purtroppo è morto, me lo telefonasti tu» (come?), «terreno costruibile» (non è meglio «edificabile», maestro?), «strattagemma» (con due t), e altri neologismi. Ardite metafore di natura ginecologica o proctologica: «la vita umana è una scoreggia del tempo», oppure il clitoride che gli appare «timido come certi ometti che si affacciano sulla porta di casa con la paura del postino che ha suonato il campanello».
Mah. «Sostenete la sintassi di Tabucchi», implorò Antonio Socci, un altro temerario che si permise di criticare «una delle voci più rappresentative della cultura europea». Statua equestre vivente, Tabucchi è l’intoccabile con licenza di toccare, e ogni sua apparizione all’estero è una lectio magistralis su quanto fa schifo l’Italia che non è come dice lui (anche se la sua infatuazione portoghese proseguì con un incarico da direttore dell’Istituto di cultura italiana a Lisbona, tra l’85 e l’87, poltrona solitamente decisa dalla politica italiana, non lusitana o parigina). I suoi strali, sempre irreprensibili altrimenti è regime, toccano tutti, dai geni del passato ai contemporanei alle popolazioni intere. Sul manifesto (lo notò il critico Gianfranco Ferroni) Tabucchi e vecchi merletti scrisse en passant di «quel cretino di Goya», un’altra volta, parlando a nome della Nazione, sull’Unità chiese scusa agli ebrei se «l’Italia è piena di stronzi, ma non tutti gli Italiani lo sono». Grandi stronzi, sostiene Tabucchi, sono quelli che vanno in vacanza ai Tropici. Le masse, viste da vicino, fanno un po’ ribrezzo se si è «una delle voci più rappresentative della cultura europea», e Tabucchi, per dirne una, davvero non si capacita di come la gente possa andare in viaggio di nozze verso mete esotiche, magari con un low cost.
Il genio incompreso causa regime si deve sfogare, annunciare piani per scardinare la dittatura, in attesa di tornare dall’esilio volontario. Quando elaborò una sorta di fantasmagoria apocalittica sull’Italia, ospite di Micromega, Tabucchi usò la parola «merda» sessantaquattro volte, una ogni 2,28 righe (le contò Mattia Feltri su Libero). Sempre sulle pagine micromeghiane, Tabucchi tornò al suo bersaglio più succulento, Giuliano Ferrara (querelato, contestato e ricambiato, «sono vittima di una Fatwa» arrivò a dire Tabucchi), colpito anche in quanto «ciccione» e «grassone», con toni da apartheid dietetico: «Balla, ciccione, balla, Salomé obesa, barrisci, uggiola, guaisci, fai libagione nella merda, fai ballare i tuoi rotoloni, diverti il tuo pubblico, hanno portato gli ombrelli per ripararsi quando scoppierai», robette così, dolce stil novo. «Se esistesse il Ku Klux Klan dei magri e dei segaligni, Tabucchi ne avrebbe la presidenza onoraria» scrisse Pierluigi Battista su La Stampa.
Il maestro dell’intransigenza Tabucchi sottoscrive anche le adunate e le piazzate girotondine, come quella del luglio 2008 (piazza Navona) contro il Lodo Alfano, con ideali riassunti dallo scrittore quasi-portoghese, sempre su Micromega: «Nella Fattoria di Orwell tutti gli animali erano uguali, ma i maiali erano più uguali degli altri. Col lodo Alfano quattro maiali sarebbero più uguali degli altri». Merda, maiali, barriti, è l’Italia, sostiene Tabucchi. Ma basta poco per dargli un dispiacere civile. In un’intervista a Le Monde spiegò che in Italia non si può vivere perché «ormai dite “buongiorno” e non sempre vi rispondono», e un’altra volta disse di non volerne sapere della nazionale di calcio, perché c’era un partito chiamato Forza Italia. Qualcuno gli fece notare: maestro, e allora chi non è socialista non dovrebbe dire «avanti» se bussano alla porta? Ma lui, imperterrito, prima di un Italia-Messico, intervistato da una radio messicana, lanciò il pronostico d’autore: «Berlusconi sta calpestando la Costituzione. L’attualità politica italiana lo rende un Paese nel quale parlare di calcio è un crimine. Pertanto il mio pronostico è questo: “Que viva Mexico!”».
Grande scrittore post-moderno, invidiato dal resto del mondo, Antonio «Antunes» Tabucchi ha insegnato a lungo a Siena, ma gli studenti lo ricordano come un professore non molto presente. «L’attività di docente gli andava stretta, preferiva la carriera da intellettuale polemico», i giornali alle aule, la celebrità, ricorda un suo collega di allora.

Il carattere dell’uomo lo descrisse, amareggiandolo non poco, un suo maestro, Silvio Guarnieri, docente a Pisa, in uno scritto pubblicato postumo su Belfagor a proposito dell’ex allievo Tabucchi, «tutto proteso verso la ricerca dell’inserimento sociale e dell’ambiziosa scalata». Che in effetti ci sarebbe stata, e molto luminosa, in odore di Nobel. Se ancora non glielo danno, naturalmente, è per colpa del regime.

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