Questa sera, alle 20.30, il grande jazz internazionale ritorna dopo molto tempo al CRT Teatro dellArte (viale Alemagna 6, Palazzo della Triennale). Arriva il sassofonista John Tchicai, in duo con il chitarrista Garrison Fewell, alla fine di una breve tournée italiana che ha toccato Catania e Roma. Occorre ricordare, soprattutto ai giovani, chi sia questo grande solista e compositore che oggi, a 72 anni, pur non avendo mai abbandonato l'attività concertistica e discografica, vuole imporsi di nuovo all'attenzione dei cultori della musica afro-americana (ed è già chiaro che non ha alcuna difficoltà a conseguire lo scopo).
John Martin Tchicai, figlio di padre congolese e di madre danese, nasce a Copenhagen dove si diploma nell'Accademia di Musica. Notato come solista da Archie Shepp e da Bill Dixon durante un festival del jazz a Helsinki, è consigliato di trasferirsi a New York dove si stabilisce nel 1962. Nella Grande Mela primeggia fra i musicisti dell'avanguardia informale: collabora con gruppi in nome collettivo di alto livello come il New York Contemporary Five, la Jazz Composer's Guild, il New York Art Quartet e con i complessi di Carla Bley (con cui partecipa al Festival di Newport), di John Coltrane, Albert Ayler, Roswell Rudd, Cecil Taylor e numerosi altri.
Nel 1967 ritorna in Danimarca, lavora e incide perlopiù in Europa sotto il proprio nome e si dedica all'insegnamento animando seminari e laboratori. Malgrado la sua posizione di alfiere nella fase iniziale del free jazz americano, la critica definisce Tchicai un musicista lirico, compositore ed esecutore raffinato di melodie intense, nonché sempre sospeso fra il carattere rituale delle fonti africane e la ricerca di pause e di strutture ritmiche inedite.
Garrison Fewell, chitarrista elegante e docente molto apprezzato presso la celebre Berklee School of Music di Boston e numerosi conservatori europei, ha uno stile fra il jazz classico e il moderno che tuttavia si coniuga perfettamente con il linguaggio di Tchicai, come si può constatare ascoltando per esempio il cd Big Chief Dreaming (Soul Note 2004) o il più recente Good Night Songs (Boxholder 2006) dove i due virtuosi suonano insieme.
Il terzo protagonista della serata è il Teatro dell'Arte. Chi segua in modo non superficiale la musica d'oltre oceano non può e non deve ignorare che in questa sala, negli anni Sessanta e Settanta, tennero concerti indimenticabili John Coltrane (due volte, nel 1962 e nel 1963), Miles Davis (1964), Charles Mingus con il divino Eric Dolphy durante la tournée europea della primavera 1964 bersagliata dalla sfortuna, Lennie Tristano (1965), Bill Evans (1965) e Ornette Coleman, che nel 1974 già pensava di fondare il nuovo complesso Prime Time - ne era un sintomo la presenza accanto a lui del chitarrista James Blood Ulmer - per uscire dalla crisi del suo straordinario quartetto che a New York nessuno voleva più ospitare. Ammesso che si possa scegliere fra simili avvenimenti, la palma spetta al quintetto di Mingus e al pianoforte solo di Lennie Tristano, presente in Italia per la prima e ultima volta. Mingus aveva già perso per strada il trombettista Johnny Coles rientrato negli Stati Uniti per un grave malanno, ed era furente di dover suonare (benissimo, ndr) in cinque anziché in sei. Due mesi più tardi sarebbe morto a Berlino Eric Dolphy (a 36 anni!) per un diabete che non sapeva di avere. Tristano, non ancora preda del gin che lo avrebbe ucciso nel 1978, donò un recital che non è esagerato definire storico.
Il racconto dettagliato di questi fatti si può leggere nello splendido libro Stasera Jazz di Arrigo Polillo, pubblicato nel 1978 da Mondadori quando tutto era accaduto da poco, ed ora appena ristampato da Marco Polillo Editore con le foto in bianco e nero di Roberto Polillo, scattate appunto quasi sempre nel Teatro dell'Arte.
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