Tedeschi, è ora di tornare in chiesa

Nel libro «La festa è finita» (700 mila copie vendute) l’opinionista Peter Hahne condanna l’edonismo dell’Occidente

Può stampare sessantatré edizioni un libro che incita a «riportare Dio nella politica» e lancia l'avvertimento: «Cristo o il Caos»? Può vendere settecentomila copie un pamphlet che mentre tuona contro l’«individualismo mortale che danza intono al proprio Sé dorato» non se la prende con il consumismo americanomorfo, la globalizzazione o qualche altra tecnodiavoleria astratta ma chiama per nome i papà e le mamme della Germania sul banco degli imputati con l'accusa di aver trasformato i figli in consumatori istupiditi dalla bambagia consumerista?
Se sì, vuol dire che nella società in cui il fenomeno si manifesta sta accadendo qualcosa di grosso, o si sta instillando il germe di un cambiamento epocale. Altrimenti l'incredibile successo di La festa è finita di Peter Hahne (in uscita per Marsilio il 4 ottobre, pagg. 116, euro 10) non si spiegherebbe. Certo, l'autore è anchorman di successo sulla televisione pubblica tedesca Zdf, una specie di Bruno Vespa teutonico abituato ad accomodarsi sera dopo sera nei salotti di milioni di telespettatori. Ma non è sufficiente.
Hahne ha saputo fiutare l'aria che tira in Germania, una nazione forse più di altre stiracchiata tra due tendenze opposte, da un lato l’avvio doloroso di una riflessione sull'identità e sulla memoria storica del popolo tedesco, dall'altro quella che Hahne con disprezzo e preoccupazione definisce la «società del divertimento», lo stadio finale di un processo degenerativo che ha allontanato i popoli dalla religione, i figli dai genitori, gli individui dai valori, affogando le nostre società nel brodino del relativismo e, incoscienti e contenti, lasciandoci soli con le nostre debolezze nella futura «guerra culturale» con le truppe del fondamentalismo islamico dichiarata l'11 settembre 2001.
Semplicismo? Forse, fatto sta che ci troviamo di fronte a quei rari casi in cui un saggio manicheo e blindato senza troppe pretese di originalità o erudizione diventa un caso letterario, a suo modo un fenomeno di costume che fustiga i costumi predicando la sobrietà contro lo sperpero, la lentezza contro l'ossessione del tempo, la saggezza della vecchiaia contro l'incoscienza della giovinezza, i valori condivisi contro la «privatizzazione della morale» e la «soggettivizzazione dell'etica» che trasforma la religione in un fai-da-te e la spiritualità in un articolo da supermercato.
I tedeschi lo leggono, lo discutono, ne fanno una specie di «libretto nero» da sventolare in faccia alla parte non pentita della generazione del Sessantotto, ritenuta il principale colpevole dello sfascio morale anche dal teorico della «generazione Golf», il giovane intellettuale (e redattore della Faz) Florian Illies. Hahne, che cita il pessimismo di Neil Postman ma non sfigurerebbe nemmeno di fronte alla cupezza di un Robert Putnam o di un Christopher Lasch, ne ha per tutti: gli adolescenti che scordano persino l'uso del tedesco e non sanno cosa siano «gli sforzi, i limiti, il confronto con valori e regole», la famiglia, divenuta «il gruppo marginale della nostra società», che fallisce a crescere i figli «in un miscuglio stranamente rassegnato di passività e pessimismo», incapace a trasmettere qualsivoglia modello educativo, i lavoratori che hanno venduto l'anima al loisir e gli imprenditori incapaci «a riportare nel posto di lavoro l'energia che viene polverizzata nel tempo libero».
Di fronte a ciò, una società che per sopravvivere alla sua disperazione deve girare vorticosamente attorno al suo nulla, trasformare la vita in stordimento continuo, annullare il dolore, la sofferenza e il sacrificio: e così trionfa la «subcultura single», crollano gli indici demografici in primo luogo nell'«élite colta», le casalinghe e la triade «bambini, chiesa, scuola» vengono fatti oggetto di «scherno ideologico». Dietro l'angolo del «gioco senza limiti» e della cosmica sfiducia nelle capacità rigenerative delle nuove generazioni, però, Hahne scorge la strada per un «ritorno dei valori».
Come? In sostanza, riportando la «gioia» della Bibbia al centro della vita pubblica. Eccessivo? Forse, ma ritorniamo alle settecentomila copie di cui sopra. Di recente, i liberal di Cicero hanno titolato «Der Zeitgeist ist Konservativ», lo spirito del tempo è conservatore: e se il pensiero conservatore europeo, o per lo meno quella sua fazione «intransigente» convinta che vada data una scudisciata alla carne inflaccidita dell'Occidente, cercava un portavoce, un equivalente religiosamente orientato della rabbia non credente di Oriana Fallaci, eccolo servito in traduzione italiana.


Da risolvere c'è che le pagine de La festa è finita trasudano un'eccessiva e quasi apocalittica paura verso la modernità. Che, guarda caso, è invenzione feconda e non carnefice di quell'Occidente che si vorrebbe difendere.

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