La tela di Geronzi, unico «anti-Bazoli»

da Milano

Capitalia si candida al ruolo di «anti» Intesa-Sanpaolo. O almeno questa sembra l’intenzione del suo presidente, Cesare Geronzi, in questa stagione finanziaria in cui la grande novità è soprattutto una: la nascita di un gigante del credito, dell’assicurazione e della finanza che si chiama, appunto, Intesa-Sanpaolo, partorita con la regia del suo presidente Giovanni Bazoli. E con la benedizione mai nascosta dell’attuale premier Romano Prodi. Un’impresa da 6mila sportelli e 73 miliardi di capitalizzazione che si è presentata sul mercato come una creatura «bulimica», come a voler riempire, anche indirettamente, tutti gli spazi possibili: dagli investimenti nelle infrastrutture alla privatizzazione di Alitalia, alla finanza bresciana (fusione Mittel-Hopa). E, naturalmente, le Assicurazioni Generali.
Qui però, di fronte al più antico centro di potere di taglia europea di cui dispone il Paese, non poteva non incontrare resistenze. Non poteva Bazoli non trovare un «anti Bazoli». E in una situazione in cui certi tempi della finanza non sono più gli stessi, come è il caso della Mediobanca orfana di Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi, mentre altre grandi banche, quale l’Unicredito di Alessandro Profumo, sembrano in tutt’altre faccende affaccendate, a uscire allo scoperto è stato Geronzi, presidente di Capitalia.
Indebolito da due recenti «interdizioni» (ma in entrambi i casi riconfermato dai suoi soci), e rimasto «single» nonostante la stagione delle grandi aggregazioni bancarie, Geronzi ha capito che, in vista del rinnovo di primavera del cda della compagnia, e davanti a evidenti manovre finanziarie (come l’ingresso di Zaleski, amico di Bazoli, con il 2% di Trieste) era necessario dare un segnale. E doveva essere segnale di forza e, se si può dire, «di potere». Il che poteva avvenire solo a condizione che «forti» apparissero lui e la sua Capitalia (che detiene il 9,5% del capitale di Mediobanca, a sua volta primo socio di Generali, oltre a diritti di voto sul 3% di quest’ultima). Forte, cioè indipendente e invulnerabile a eventuali attacchi, interni o esterni che fossero. Anche perché la cornice in cui la scena si svolge non è più uguale a quando il governatore della Banca d’Italia era Antonio Fazio. Oggi, con Marco Draghi, non esiste più alcun «piano regolatore» della finanza nazionale.
In questo quadro Geronzi ha stretto un patto d’acciaio con i francesi, già soci al 10% di Mediobanca, con gli spagnoli del Santander di Emilio Botin, appena cacciati proprio dal Sanpaolo e ora entrati in Capitalia con quasi il 2%, e con Antoine Bernheim, presidente delle Generali in cerca di riconferma. Obiettivo: mantenere lo status quo di Capitalia. Attraverso un cordone di protezione poliglotta, Geronzi dice chiaramente che per i prossimi tre mesi «non si farà nulla», riferendosi a Mediobanca e Generali. Rimarcando, tra l’altro, che è il presidente (legato ai soci francesi e a Botin) il suo preciso riferimento. Il resto non importa: la designazione degli amministratori delegati, «appartiene a Bernheim e non a noi», ha detto ieri. Poi, tra tre mesi si vedrà: «Chi ha progetti di aggregazione li realizzerà. E noi li abbiamo».
Si vedrà, soprattutto, se questo schema preveda, a bocce ferme, una grande operazione con Unicredito. O, piuttosto, una mossa che scavalchi l’attuale grande partner Abn Amro per dirigersi verso il Santander. Ma oggi questo non ha importanza.

Quello che conta è che Capitalia e il suo presidente superino il momento critico del riassetto di poteri in Piazzetta Cuccia (dove non è forse un caso che sia fermato il processo di trasformazione della governance verso un sistema duale puro, a cui sta lavorando il presidente del patto Piergaetano Marchetti, lasciando anche qui lo status quo) e a Trieste.

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