La «terza via» di Casini: scaricato da tutti

RomaPrima una censura, di quelle pesanti, da parte di Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Le voci di una rottura definitiva. Poi i malumori del Partito democratico, un po’ più attutiti, ma sempre più chiari. Man mano che si avvicina il voto delle regionali aumenta sempre più l’intolleranza alla politica dei due forni dell’Udc. Ad essersi stufati sembrano innanzitutto i due fornai di riferimento del partito centrista.
Scontata la condanna della Lega Nord. «La politica dell’Udc è inaccettabile - ha attaccato Roberto Cota - perché è la vecchia politica del doppio forno, basata esclusivamente sulla spartizione del potere». Ma dal Popolo delle libertà ieri sono trapelati soprattutto i «no» del premier e del presidente della Camera. Il caso Udc era uno dei temi dell’incontro tra Fini e Berlusconi ed entrambi hanno censurato la politica delle alleanze sia con la destra sia con la sinistra a seconda della situazioni, che il partito di Pier Ferdinando Casini ha deciso per questa tornata elettorale. Rimane qualche differenza tra i due fondatori del Pdl su quale dovrebbe essere la riposta. Più duro il premier, mentre secondo Fini la condanna non dovrebbe portare a «niente di drastico» nei rapporti tra Pdl e Udc.
Il malcontento per le alleanze variabili ieri era salito a livelli tali che per scongiurare la rottura sono intervenuti il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, il viceministro Adolfo Urso e la candidata al governo del Lazio Renata Polverini.
«Abbiamo preso atto che la contestazione del bipolarismo da parte dell’Udc non è gradita al centrodestra, ma le alleanze fatte finora sui vari candidati non vengono assolutamente messe in discussione», ha precisato Italo Bocchino, vicepresidente dei deputati Pdl, ed esponente finiano. A rischio, quindi, solo le partite ancora aperte, ad esempio in Campania.
Tormentati anche gli sviluppi nei rapporti tra Udc e Pd. I centristi sono i principali interlocutori della segreteria di Pierluigi Bersani, ma ieri l’Unione ha «rubato» ai democratici due esponenti di punta. Enzo Carra e Renzo Lusetti, tra i fondatori della Margherita e dello stesso Pd, hanno lasciato il partito e sono approdati all’Udc. Il ritorno degli ex Dc è stato accolto con favore dal segretario Udc Lorenzo Cesa, ma nel Pd sono cominciati gli interrogativi sul futuro del partito. Durissimo Arturo Parisi, che nei giorni scorsi aveva accusato Bersani di essere «come Cesa» (in sostanza un segretario che non è il leader del suo partito). Ieri l’ex ministro della Difesa vicino a Romano Prodi ha messo in evidenza il silenzio di Bersani sull’uscita dei due cattolici Pd. «Purtroppo non è una novità il silenzio col quale la attuale dirigenza del Pd assiste alla uscita dal partito di esponenti che dicono di lavorare per lo stesso disegno. Come non vedere la dissoluzione verso la quale ci ha portato in soli due anni questa serie di separazioni consensuali?». Grane provenienti dai quasi-alleati. E non sono escluse - lascia intendere Parisi - nuove uscite verso le formazioni centriste.
Nessuno nel Pd condanna direttamente l’Udc. Ma pesa l’incertezza su accordi elettorali, come quello per la Calabria. La partita è talmente delicata che Bersani ha smentito le voci di un’intesa Pd-Udc sul centrista Roberto Occhiuto: «Io non ho offerto niente a nessuno. C’è una interlocuzione con l’Udc, come facciamo in tutte le regioni, per cercare di vedere condizioni, che siano condizioni ottimali». Le trattative con i centristi, insomma, devono restare sottotraccia. E tenute lontane dalle primarie. Dell’imbarazzo ne approfittano avversari interni del segretario Pd, come Vincenzo Vita della sinistra veltroniana, che invoca le primarie in Puglia.

Regione laboratorio dell’alleanza D’Alema-Casini. Il voto tra gli iscritti, secondo Vita, è invece unica soluzione. «L’Udc si renda conto che la democrazia ha le sue necessità». E accetti - sottinteso - uno strumento tipicamente bipolare. Quasi la stessa tesi del Pdl.

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