Il testimone: «Mio zio prete ucciso con altri sei familiari»

Piero Tarticchio a Genova. Per il Giorno del Ricordo, organizzato dalla Regione lunedì al Teatro della Gioventù, è stato invitato lo scrittore di Gallesano di Pola (Le radici del vento, Nascinguerra, Storia di un gatto profugo), che da bambino ha vissuto il drammatico esodo dall'Istria.
Ha coltivato il dovere di far memoria. Chi meglio di lui ne ha diritto? Sette infoibati in famiglia, tra cui il padre. Aveva sette anni quando il cugino don Angelo Tarticchio, parroco di Villa Rovigno, subito dopo l'8 settembre fu prelevato a casa, di notte, come un criminale: calci, pugni, bestemmie; fu incarcerato a Montecuccoli di Pisino d'Istria. Nel testamento spirituale scrisse: «Chiedo perdono a tutti e tutti perdono di vero cuore». Fu gettato con altri 43 detenuti, legati con filo spinato, in una cava di bauxite: lo avevano evirato, gli cacciarono i genitali in gola, lo lapidarono. Lo riesumarono dalla cava per «presentarlo», con una corona di filo spinato in testa, a madre e sorella. Questa dura storia è narrata con il titolo «Il primo martire delle foibe» da Roberto Beretta, Storia dei Preti uccisi dai partigiani (Piemme, 2005).
Le foibe oggi si conoscono tutte?
«Dei miei sette infoibati di famiglia l'unico documento riguarda don Angelo, il primo ad essere giustiziato. Nel '43 vi furono 700/800 vittime e 10/15mila a guerra finita, ma non ci sono documenti. In Croazia non c'è una foiba indicata neanche a morire. Oggi si auspica la riappacificazione di due popoli divisi dalle ideologie però a denunciare l'odio etnico è anche il bosniaco Ivo Andric, premio Nobel nel 1961, autore del Ponte sulla Drina. È una cenere che copre le braci, basta un soffio di vento e il fuoco divampa. Fin lo stupro per quelle genti fu legge: è punire il nemico ingravidando la sua donna».
Odio etnico? Non ci fu anche ritorsione contro il mal fascismo?
«I primi ad essere gettati in foiba sono stati non i fascisti ma gli antifascisti e la resistenza del Cnl. Con il Giorno del Ricordo si è consegnato il passato alla storia; la verità non è mai venuta a galla; resta più alta la voce di chi ci accusò di essere nazionalisti e fascisti. Non chiamano noi esuli a dire la nostra storia, (Genova però ha chiamato), ma personaggi ambigui di oltre confine. Le foibe sono quel che sono, sono lì a testimoniare, ma nulla può smentirli. Mio padre - e gli s'incrina la voce - di buon cuore verso i propri paesani con la sua moto nel 1944 portava partigiani feriti all'ospedale forzando i blocchi tedeschi. Era un italiano. Lo ammazzarono e di lui non fu trovata traccia. Quelle terre non sono mai state slave, sono state latine, bizantine, veneziane per cinque secoli, austriache per un secolo e poi italiane. Tito però aveva mire precise sull'Istria, doveva far sì che gli italiani se ne andassero. Oggi il suo disegno si è compiuto. In Istria vivono 29mila italiani, erano 450mila; 9 italiani su 10 sono venuti via. Ancor oggi una certa sinistra nega che abbiano preferito l'esodo, giustificano la loro fuga con la paura di ritorsioni per i crimini commessi dai fascisti».
Perché l'Italia rinunciò all'Istria?
«Deve far memoria il sessantennale del Tratto di Pace che sancì la perdita della Venezia Giulia e di parte della Dalmazia. Gli italiani d'Istria non ebbero la possibilità del plebiscito: il terzo e quarto comma della Carta Atlantica (agosto 1941) sanciscono che ogni popolo ha diritto all'autodeterminazione, che i cambiamenti territoriali dovevano essere approvati dalle popolazioni interessate. Ci fu negato. Esistono leggi per i vincitori e leggi per i vinti. Se l'Italia avesse chiesto, appoggiato o favorito il plebiscito, si doveva concedere agli altoatesini, il 95% di lingua tedesca, con l'inevitabile passaggio dell'Alto Adige all'Austria».
Il baratto non avrebbe accontentato tutti?
«Noi siamo una terra povera. Lo scrive Bepi Nider, il maggior poeta istriano: “Istria! Terra di pietre e di vento/terra d'odio e d'amore./Istria, terra del mio dolore”. Il Trentino Alto Adige invece aveva tutte le centrali elettriche che servivano il Nord Italia. Rinunciare a quella fonte di energia sarebbe stato un atto di autolesionismo. Si barattò l'etica con la politica: l'Istria fu sacrificata, gli istriani confinati nell'oblio perché Tito, con la leadership dei Paesi non allineati, aveva acquistato il rispetto dei Paesi capitalisti, aveva rinnegato la sua fede al Kominform, aveva rifondato il Partito comunista revisionista. Pur comunista, si poneva al di fuori del blocco sovietico. Come accusarlo di crimini di guerra?»
Un tornaconto economico? E le idee che sono ciò che fa uomini?
«Alla fine delle ostilità l'Istria e Pola, città di cantieri, non avevano manodopera: il Pci manda 2850 operai di Monfalcone, di fede marxista-leninista, verso il sol d'avvenire. Poi, nel 1947/48, la seconda pulizia etnica: i comunisti ortodossi vengono inviati a Goli Otok, detta Isola calva o nuda. «A causa della tortura psicologica due ore a Goli Otok erano peggiori di due mesi a Dachau - mi disse uno che tornò da quell'inferno -: il compagno di cella doveva denunciare il proprio compagno di cella, ma io sono ancora comunista, concluse». La risposta fa capire quanto il comunismo sia fede. L'Italia dei fascisti è durata vent'anni ma l'Italia degli antifascisti dopo sessant'anni non scompare: richiamano il fascismo per giustificare azioni non degne di una democrazia».


«In Italia esiste una vera democrazia?», chiede polemico il volantino che verrà posto sulle sedie al Teatro della Gioventù dal fiumano Fulvio Mohoratz, presidente della Consulta Regionale Anvgd (Associazione nazionale Venezia Giulia Dalmazia). E continua: «Dove non è verità non è giustizia, dove non è giustizia non è libertà, dove non è libertà non è democrazia».

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