Thierry Meury faceva più ridere da marmittone

Egregio dott. Granzotto, sono un vostro lettore di lunga data, residente a Ginevra da parecchi anni. Ammetto che, essendo in viaggio, mi sono perso le recenti chicche di Thierry Meury su GHI, ma in compenso le ho lette, di rimbalzo, sul nostro Giornale, e constato ridendo che l’erba grama... non si smentisce mai. Ebbi l’occasione di fare il servizio di leva nel lontano 1986 (il tempo passa) ed ebbi Thierry Meury come commilitone. Ricordo che già allora si professava «umorista» - dev’essere una mania, da quella parte politica - e ci vantava le sue credenziali di perfetto comunista, con tanto di viaggio nella Mosca del radioso sol dell’avvenire, rigorosamente inquadrato dal partito, e professione di fede di sabotaggio dell’esercito svizzero in caso di attacco da parte del Patto di Varsavia. Nello stesso periodo era pure candidato a un’elezione locale, sempre per lo stesso partito, e fu regolarmente trombato. In effetti, i comunisti, tranne che nelle città di Ginevra e Losanna, hanno sempre avuto percentuali da prefisso telefonico, ma erano e sono sovrarappresentati nel mondo dell’arte, dei media e dell’insegnamento. Il Meury era un po’ (tanto) sovrappeso e ciò lo faceva ansimare tremendamente durante le marce. Un bel giorno, stufi del suo ultimo «comizio improvvisato», gli dicemmo che avrebbe dovuto emigrare Oltrecortina e condividere le sorti del popolo onde dimagrire per bene... Il Meury è sempre sovrappeso.
Ginevra

Ma non mi dica, caro Huesler: non gli bastava essere fesso, pure trinariciuto è il Meury. Trinariciuto e umorista, due attributi che dalle vostre parti vanno insieme perché per essere bolscevichi in Isvizzera bisogna proprio avere molto, ma molto senso dell’umorismo. Peccato che con gli anni (e le batoste elettorali) la vena gli si sia un po’ inaridita, al Meury, perché quello che ha scritto sul foglio ginevrino contro Berlusconi e gli italiani non è che facesse tanto ridere. Però consola che anche nella gloriosa e saggia Confederazione elvetica allignino fossili viventi scampati alla glaciazione del novembre ’89, allorché con notevole botto venne giù il muro di Berlino. Pensavo che in Europa gli unici esemplari fossero stanziati nel Belpaese e invece toh, ce n’è almeno uno oltre il San Bernardo. Anche se Marx, Lenin e Baffone si rivolteranno nella tomba nel constatare che dal Capitale e dal materialismo scientifico l’elvetico compagno è passato alla pubblicistica repubblicones e all’antiberlusconismo non da strapazzo, ma proprio da far pietà. Almeno un bel «Bandiera rossa la trionferà!», che diamine. Almeno un forte «Tutto il potere al popolo!», per la miseria. E invece niente, a parte tritume del genere: «Questo tizio, un Mussolini da operetta dalla testa ai piedi, tappo, complessato, mentalmente deficiente, mafioso», riferito al Cavaliere. E: «In breve, un miliardario morboso e megalomane che nessun popolo civilizzato in un Paese democratico avrebbe eletto e meno che mai rieletto. Non poteva accadere che in Italia», tanto per sottolineare quanto siamo degenerati, quanto siamo minchioni noi italiani.
Vabbé, amen. Con Thierry Meury ho chiuso: quella nullità non merita altra attenzione. Ma grazie a lei, caro Huesler, per qualche tempo ne serberò la memoria: non del repubblicones rossocrociato, non dell’umorista e nemmeno del comunista.

Ma del marmittone in sovrappeso - cioè un panzone - affardellato, paonazzo in volto, sbuffante siccome un mantice che percorre a passo di marcia le valli e le alture svizzere. Il militare da barzelletta, insomma, che con supremo sprezzo del ridicolo non ha voluto smentirsi una volta tornato alla vita civile. Facendosi giornalista da barzelletta.

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