Oristano - Sono passati otto mesi e 9 giorni dal suo sequestro, da quel terribile 19 settembre quando un commando lo prelevò dinanzi alla sua azienda agricola di Monti Frusciu a Bonorva, in provincia di Sassari. Fu lui stesso, Titti, a chiamare la sorella Maria Margherita dicendo: "Preparate 300mila euro altrimenti questi mi ammazzano". Poche ore dopo, da una cabina telefonica di Nuoro localizzata dai carabinieri, una voce anonima confermò la richiesta di riscatto: "Preparate i soldi". L’auto di Pinna era stata ritrovata a più di 20 chilometri da Bonorva, precisamente a Pallaseari, vicino a Foresta Burgos. Da quel momento sul "caso Pinna" è calato il buio. Il sequestro era apparso anomalo agli investigatori, soprattutto per l’esiguità della richiesta del riscatto. La famiglia è abbastanza facoltosa e nella loro tenuta agricola i Pinna allevano centinaia di capi ovini e bovini e numerosi cavalli. Giovanni Battista, 38 anni, viveva in un palazzo sfarzoso in corso Umberto, nel centro del paese, insieme alle due sorelle e a un’anziana zia.
Silenzio E il silenzio che ha avvolto fin dall’inizio la vicenda ha spesso fatto temere per la sorte dell’allevatore, nonostante l’ottimismo dei carabinieri espresso nei momenti più cupi per voce del comandante regionale Gilberto Murgia, e del comandante provinciale di Sassari, Paolo Carra. A mantenere viva l’attenzione sul sequestro, che da molti era stato definito più volte un sequestro di "serie B", ci ha comunque pensato in tutti questi mesi il comitato spontaneo "Titti Pinna Libero" che ha aperto anche un blog. Tra i fondatori il vicesindaco di Bonorva, Gianmario Senes, che ha continuato sempre a dichiarsi fiducioso e convinto dell’esito positivo della vicenda, anche quando, lo scorso gennaio, un autorevole quotidiano dell’isola rivelò l’esistenza di un dossier inviato al presidente del consiglio dal Sisde in cui si spiegava che ormai non si tentava più di liberare un sequestrato ma si cercava di trovare un cadavere. "Non credo assolutamente alla notizia del Sisde - disse all’epoca Senes - credo che la deduzione si basi su ipotesi e non su fatti concreti. Fra l’altro lo dimostrano anche le dichiarazioni in senso contrario dei carabinieri. Che motivo avrebbero di continuare a cercarlo, fra l’altro spendendo un sacco di soldi, se non credessero davvero che Titti sia vivo?". Senes, che ha sempre avuto rapporti diretti con i famigliari di Pinna , smentì anche l’ipotesi che fosse in corso una trattativa parallela.
Un messaggio autografo A riaprire la vicenda dopo mesi di black out lo scorso aprile un misterioso messaggio autografo inviato alla sorella su una copia dell’Unione Sarda. E fu subito giallo sul caso dell’allevatore in un susseguirsi di nuove ipotesi, tra cui quella del falso sequestro e della fuga all’estero, in Romania, da un’amica, lontano dalla famiglia, dalla quale, secondo alcuni testimoni, si sentiva "oppresso". Nel messaggio Titti si rivolgeva alla sorella. Solo poche parole: "Vi voglio bene a Maria Margherita e a tutti". Poi la firma, Giovanni Battista Pinna , riconosciuta dai familiari e confermata da una perizia.
Famiglia nel mirino La famiglia Pinna comunque era già finita nel mirino dell’Anonima sarda quasi trent’anni prima, quando nel 1967 venne sequestrato Giuseppe Pinna. All’epoca, quando ancora non era stata varata la legge sul blocco dei beni, i famigliari riuscirono a pagare il riscatto e dopo dieci giorni di prigionia Giuseppe Pinna venne liberato. Tuttavia, per i Pinna l’incubo dei sequestri non era finito. A metà degli anni ’70, nel mirino dell’Anonima caddero il padre di Giovanni Battista, Gino, e uno zio soprannominato "Billia".
I banditi entrarono in azione proprio dove sarebbe stato messo a segno oltre vent’anni dopo il rapimento di "Titti", davanti all’azienda agricola di Monte Frusciu. Infine, nel 1980, venne rapito un altro zio, omonimo di Giovanni Battista Pinna , che morì misteriosamente durante la prigionia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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