Diritto, legge, giustizia. Esiste solo il giacobinismo che affiora, più o meno esplicito, in molte collane editoriali targate Chiarelettere, Einaudi, Garzanti e così via? Esiste solo il mondo del Fatto quotidiano, o di Repubblica, dove gli inquirenti sono sempre buoni e gli inquisiti hanno come minimo qualcosa da nascondere? Esiste solo lopinione pubblica che organizza manifestazioni-tributo in sostegno ai pm impegnati nelle indagini politicamente sensibili? È totale laccordo sul principio: «Intercettate, intercettate, qualche reato alla fine salterà fuori»? Che è poi laggiornamento del principio: «Carcerate, carcerate preventivamente, qualche confessione salterà fuori»? E i giudici desiderano tutti quanti essere eroi popolari, a un passo dal divismo?
No, esiste anche unaltra Italia. A cui diamo appuntamento tra le pagine dei Liberilibri editi da Aldo Canovari. Un editore che da decenni si occupa con continuità dellargomento, sfornando volumi insieme profondi e accessibili. Nella collana «Oche del Campidoglio» vi sono numerosi titoli, scritti e prefati da autorevoli giuristi, anche italiani, che sognano una giustizia diversa, ispirata a principi liberali. Nel Giudice sovrano, Robert H. Bork, professore di diritto costituzionale alla Yale University, denuncia lassuefazione delle moderne democrazie allaccresciuta autorità dei tribunali in campo legislativo. Il potere si trasferisce dal Parlamento alla magistratura, cioè a un organismo non rappresentativo, non eletto. Nel saggio La Repubblica penale di Antoine Garapon e Denis Salas (entrambi magistrati e membri dellInstitut des Hautes Études sur la Justice di Parigi) lo strapotere giudiziario ha anche origine nella «follia demiurgica» dei legislatori, i quali hanno disciplinato ogni comportamento della vita quotidiana. E ora ogni infrazione rischia di essere perseguita in tribunale. Il giudice è dunque sovrano delleconomia, della politica, dei cittadini. La società criminalizzata, dicono gli autori, avrà come esito lautofagia: si avventerà sugli organi che lhanno prodotta e controllata (uomini di governo, alti burocrati, grandi imprenditori). Nella Giustizia politica (sottotitolo: «Lossimoro indecente»), Otto Kirchheimer mostra come leliminazione degli avversari politici per via giudiziaria non sia una pratica esclusiva dei regimi totalitari, avendo un certo «successo» anche negli odierni Stati di diritto.
Non mancano i contributi italiani, a partire da quello dellex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. I nostri autori, fra i quali si contano molti magistrati, si concentrano in particolare sulle storture del sistema (per chi scende in piazza saranno forse pregi) emerse negli ultimi ventanni, più o meno a partire da Mani pulite.
Cossiga, nel Discorso sulla giustizia, tocca due nervi scoperti quali il rapporto fra il primato del Parlamento e lindipendenza della magistratura; e linconciliabilità fra politicizzazione del giudice e imparzialità della giurisdizione. Cossiga, per liberare dalle correnti organi quali il Consiglio superiore della magistratura, proponeva di tornare a un metodo antico ma nobile: lelezione per «estrazione a sorte». Nellopera collettiva Giudici e inquisitori (di Angeletti, Cavalla, Frigo, Lanza, Longo e Taradash) ci si interroga su quale figura oggi sia dominante nel nostro Paese: il giudice o linquisitore? Scrive Francesco Cavalla, professore di Filosofia del diritto a Padova: «La coppia sovrano-inquisitore è il bersaglio contro cui si scaglia, sorgendo, il pensiero liberale: il quale riconosce che, per principio, la funzione del giudice è necessaria proprio perché ogni atto di accusa resti quello che effettivamente è, e cioè latto di una parte e non latto di un potere occhiuto che si proclama rappresentante di interessi generali». Anche Tenera è la legge, dellex magistrato Giancarlo Bagarotto, si sofferma su temi analoghi. Al centro luso disinvolto della carcerazione preventiva, una vera e propria condanna alla gogna per lindagato, da cui ottenere confessioni e delazioni. Stesso argomento ma visto dalla prospettiva di chi finisce nellingranaggio della custodia cautelare è proposto da Roberto Racinaro, docente di Storia della filosofia presso lUniversità di Salerno, ne La giustizia virtuosa. Il collasso della giustizia penale, inquadrato in una ottica filosofica, è al centro anche di Perché punire di Vittorio Mathieu.
Il quadro non sarebbe completo se la collana non prendesse in esame il legame troppo spesso pericoloso tra magistratura e giornali. Chi fosse interessato al tema, troverà pane per i suoi denti nel Circo mediatico-giudiziario del famoso avvocato francese Daniel Soulez Larivière. Lautore ritrae tutti i commedianti: il magistrato-sceriffo in preda a delirio narcisistico; il magistrato-educatore delle masse; e il giornalista sputa sentenze. Dalla introduzione di Giuliano Ferrara: «Quando un giornalista si traveste da giudice, e un giudice da giornalista, allora la base delle nostre libertà è non già incrinata o messa in mora ma letteralmente distrutta...».
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