Andrea Nativi
Il Giappone, l'unico Paese che abbia mai subito gli orrori di un attacco condotto con armi atomiche, sta pensando di dotarsi di armi nucleari. Ma come sempre accade a Tokyo, si procede per piccoli passi, con molta prudenza e con la sordina.
Lo conferma la forma utilizzata dal governo guidato da Shinzo Abe per aprire il dibattito: una risposta ad una interrogazione proposta in Parlamento. Nel documento il governo afferma che la Costituzione pacifista «non necessariamente vieta al Paese di possedere armi, e questo si estende anche alle armi atomiche, purché ci si limiti al minimo indispensabile per l'autodifesa». Sono bastate queste poche righe per far cadere il triplice tabù nucleare giapponese, in base al quale Tokyo ha scelto di non produrre, possedere o accogliere nel proprio territorio armi nucleari.
Le reazioni internazionali sono state immediate. L'ambasciatore russo aveva già auspicato nelle scorse settimane che l'arsenale giapponese rimanesse privo di armi nucleari, sostenendo che in caso contrario ci sarebbero stati seri danni alla stabilità internazionale. Più morbida la dichiarazione del collega statunitense, Thomas Schieffer, che ha ribadito l'importanza della «coperta» nucleare offerta dagli Usa con le proprie armi all'alleato giapponese.
Ma sia pure timidamente il Giappone insiste e rivendica il diritto a discutere l'eventualità di dotarsi di armi nucleari. Secondo linterpretazione costituzionale offerta dal governo Abe, un eventuale programma militare non sarebbe necessariamente incompatibile con l'attuale Costituzione.
In realtà il tema nucleare era già stato sollevato da uno dei maggiorenti del partito di governo, Shoichi Nakagawa, all'indomani del test nucleare nordcoreano, provocando un immediato richiamo da parte del segretario di Stato statunitense, Condoleezza Rice.
Successivamente anche uno dei «falchi» del governo, il ministro degli Esteri, Taro Aso, ha ribadito il concetto, costringendo Abe a una mezza ritirata. Ma evidentemente nel governo si ritiene che la questione meriti un approfondimento: due settimane fa è tornato alla carica il numero due del governo, Yasuhisa Shiozaki, la cui «apertura» all'atomo militare è stata ora formalizzata con la risposta al Parlamento.
Certo non è parlando di bombe atomiche che il governo Abe potrà tentare una riforma costituzionale che consenta al Giappone di dotarsi formalmente di vere forze armate, di un ministro della Difesa e di una politica di sicurezza che vada oltre l'autodifesa. Abe avrebbe bisogno di una maggioranza di due terzi in entrambe le Camere e della conferma in un referendum popolare per cambiare il testo costituzionale. Non è detto che abbia abbastanza supporto e forza politica per affrontare una simile prova. Molto meglio stiracchiare lattuale Costituzione, come del resto è già stato fatto in più occasioni, arrivando anche ad inviare truppe in Irak.
Certo dal punto di vista tecnico il Giappone non dovrebbe faticare più di tanto per sviluppare un deterrente: il Paese padroneggia pienamente la tecnologia nucleare e i processi di arricchimento necessari a ottenere la materia prima, uranio arricchito o plutonio. Esiste il know-how per la produzione di ordigni miniaturizzati che possono essere installati in testate missilistiche o in bombe d'aereo.
Le industrie della difesa e spaziali giapponesi hanno realizzato e stanno sviluppando diversi missili da crociera lanciati da navi ed aerei con gittate superiori ai 200 km, e il Giappone vanta vere e proprie famiglie di razzi vettori che possono portare in orbita pesanti satelliti, veicoli spaziali e che potrebbero essere modificati e trasformati in missili balistici.
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