Stenio Solinas
nostro inviato a Cannes
Come per tutti i kolossal che si rispettino, Il Codice da Vinci, presentato ieri sera in anteprima e fuori concorso al 59° Festival di Cannes, prima e più che un film è un Guinness dei primati e delle curiosità. Il fatto che sia tratto da un romanzo che in tre anni ha venduto 50 milioni di copie ed è stato tradotto in 44 lingue aggiunge, del resto, evento all'evento e non c'è modo né maniera per astrarsene e parlare d'altro.
Costato 125 milioni di dollari, di cui sei sono andati in diritti d'autore e venti al protagonista principale, Tom Hanks, soltanto per la settimana di riprese notturne al Louvre è stato sborsato un milione e mezzo di euro. Ciononostante, quello che lo spettatore vede è un po' il museo vero, ma soprattutto un museo falso, ricostruito negli studi inglesi di Shepperton. Quanto ai quadri, ben 150 sono le copie che il pittore James Gemmil ha realizzato, da quelle leonardesche alle altre tele che scorrono sullo schermo. Sempre a Shepperton, inoltre, è stato invece interamente ricostruito l'interno della chiesa di Saint-Sulpice, il luogo sacro dove lo spietato e un po' intronato monaco Silas (Paul Bettany nel film) si reca in cerca del segreto del Graal e della realtà dello gnomone, l'antico strumento astronomico solare. Dopo che in un anno 400mila fan del libro avevano fatto la stessa cosa, ma avevano dovuto accontentarsi della sola meridiana, monsignore Roumanet aveva messo un avviso a fianco dell'obelisco in cui si invitavano i fedeli a non prendere troppo sul serio «le storie fantasiose di un recente romanzo di successo». Risultato, la produzione ha preferito ricostruire altrove la celebre chiesa.
Finzione per finzione, se il Louvre e Saint-Sulpice sono fondamentalmente made in Britain, la Terra santa di Gesù e di Maria Maddalena, presente nel film in forma di flash back che facendo vedere l'antico aiuta a orientarsi nel presente, è più semplicemente l'isola di Malta mentre la cattedrale di Winchester del XIX secolo è stata scelta, con opportuni invecchiamenti, quale sede dell'ordine dei Templari di sette secoli prima.
Particolare curioso, infine, in un film dove praticamente si riscrive la storia del cattolicesimo in un'atmosfera di thriller e di horror, è il merchandising che lo accompagna, assolutamente puritano per volontà del suo distributore.
Dietro tutti i numeri, i primati e le curiosità, naturalmente, c'è il film vero e proprio. Un regista da Oscar come Ron Howard, un protagonista maschile da Oscar come il già citato Tom Hanks e un cast di tutto rispetto: Audrey Tautou, Ian Mc Kellen, Jean Reno, Paul Bettany, Alfred Molina, Jürgen Prochnow. Di che assicurare, in teoria, lo spettacolo, se non fosse che la necessità di semplificare e di spiegare per immagini rende il film o troppo veloce o troppo farraginoso: molto effetti speciali, qualche eccesso tecnologico, ma poco o punto approfondimento psicologico. Lo stesso Hanks, cui non si capisce se un lifting, un trapianto di capelli o, più semplicemente, un nuovo parrucchiere ha come svuotato di credibilità, sembra più uno smemorato che un esperto di miti, e la bella Audrey Tautou fa benissimo la parte della donna misteriosa, ma lo spettatore fatica a capire come nel mistero sia finita. Ciò che al romanzo dava il sapore della saga, i Templari, il Graal, le persecuzioni, qui appare ridotto a bignami e francamente a volte fa un po ridere. Nel momento in cui un sempre più attonito Tom spiega a una sempre più perplessa Audrey che lei è la discendente diretta di Gesù Cristo, il film piega inesorabilmente verso una farsa involontaria e a quel punto solo larrivo della parola fine lo salva dal totale disatro. Limpressione, insomma, è che alla fine questa gigantesca macchina si sia imballata e abbia continuato a girare a vuoto. Molto fumo, molto rumore per nulla. Nessun applauso, qualche risata durante la proiezione e qualche fischio alla fine gli hanno fatto da corollario.
Non avendo chi scrive letto Il Codice da Vinci e avendo, per motivi di lavoro, dovuto vedere il film, alla luce di quanto sopra basterà che il prossimo anno ci sia un altro kolossal per farcelo dimenticare.
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