TONI NEGRI «Questa sinistra ha fallito»

Da «cattivo maestro» a «guru no global»: parla l’ex leader di Autonomia operaia

Una Negrimania. Dopo il suo celebre Impero, diventato la bibbia dei no-global, Antonio Negri pubblica oggi Movimenti nell’Impero. Passaggi e paesaggi (Raffaello Cortina, pagg. 298, euro 21,50). Le sue idee sono quelle che da oltre trent’anni gli sono valse l’accusa di cattivo maestro, però su antiamericanismo e magistratura o sui no-global faranno rumore anche a sinistra.
Professor Negri, che cosa sono i movimenti nell’Impero?
«Sono movimenti personali e storici. Parto dai miei movimenti: dopo 25 anni, nel 2003 ho finalmente riottenuto il passaporto e da allora ho ricominciato a girare il mondo. Poi, naturalmente, ci sono i movimenti mondiali. Quelle scosse sismiche che la globalità subisce e che causano il decentramento dei poteri imperiali: dall’unico potere americano, infatti, si passa a vari centri di potere continentali, la Cina, l’India, i grandi Paesi sudamericani come il Brasile, potenzialmente l’Europa».
A proposito di Europa: lei dice di crederci. Nel suo libro la definisce una Venere contrapposta all’America-Marte.
«Certo che ci credo, a patto di non considerarla come un altro potere, ma come una controcultura, un movimento. Sono un europeista, mi sono sempre battuto per l’Unità Europea, per la sua Costituzione».
Una costituzione che non si richiama alle sue radici cristiane?
«Una costituzione naturalmente e interamente laica. Il laicismo è una conquista fondamentale degli Stati nazione cui non bisogna rinunciare».
Questa Europa è vista anche come contropotere all’America, nella scia del diffuso antiamericanismo?
«Smettiamola con queste inutili polemiche pro e contro l’America. Io non sono contro l’America, considero stupido il becero antiamericanismo, sia di destra sia di sinistra. Io mi sono sempre considerato legato alla cultura americana, considero quello un grande Paese, una grande democrazia con una grande Costituzione. Sono sempre stato interessato e attratto dai grandi movimenti americani, quelli pacifisti, per esempio, o quelli sindacali. Sono però nemico di certe politiche americane: ieri quelle in Vietnam, per esempio, oggi quella di George Bush».
E come pensa di combattere certe politiche e la forza dell’Impero?
«L’Impero viene combattuto dal controimpero che è una figura mitica. Nasce dall’esigenza di resistenza alla Costituzione di questo ordine imperiale e si organizza in movimenti globali che praticano la resistenza democratica».
Eccoci arrivati a un punto importante. I movimenti no-global. Che cosa ne è di loro, dopo la grande sbornia di Seattle e di Genova?
«Quando con Michael Hardt scrissi Impero era il 1997. Da allora sono cambiate tante cosa. Soprattutto, c’è stato l’11 settembre e l’attacco alle Torri Gemelle. L’11 settembre ha schiacciato i no-global, li ha messi in crisi, perché l’Impero si è riorganizzato e ha fatto quadrato dinanzi allo spettro di un nuovo nemico esterno».
Stiamo parlando di guerra di civiltà?
«La guerra di civiltà non esiste, non c’è uno scontro tra l’Impero americano e il Califfato arabo. Lo scontro mondiale non è certo quello tra le religioni: è uno scontro creato ad arte, dietro cui invece si nascondono normali e storiche politiche di forza per impossessarsi delle ricchezze mondiali, il petrolio, le vie di comunicazione e di commercio».
Ma dall’11 settembre l’Impero americano è uscito rafforzato?
«Dopo l’11 settembre alla politica dell’Impero americano si sono opposti gli Stati europei. È accaduto ciò che nella storia era già successo: contro il tentativo di colpo di Stato effettuato dalla monarchia di Washington, si sono coalizzati gli interessi della moltitudine e dell’aristocrazia, dove per aristocrazia intendo gli Stati europei, appunto, e quella intellighenzia capitalista arrabbiata e contraria alla brutale politica americana».
Che cos’è la moltitudine? Lei la distingue sia dalla vecchia classe operaia, sia dalla massa amorfa.
«La moltitudine è una realtà produttiva e sociale nuova. È l’insieme di tante singolarità che non lavorano più, fianco a fianco, nella fabbrica, ma ciascuno per sé per poi raccogliersi nella società e, attraverso la Rete, indirizzarsi verso obiettivi comuni, riuscendo a esprimere pulsioni di libertà».
Ma questa moltitudine come riesce a organizzarsi? La vecchia classe operaia era guidata dal partito comunista. E la moltitudine?
«Dinanzi alla moltitudine scompaiono i vecchi partiti carismatici fondati sulla burocrazia. La moltitudine, attraverso soprattutto la Rete, esprime bisogni ed esigenze comuni grazie a un linguaggio semplice e chiaro e si organizza in movimenti».
Se il vecchio proletariato non esiste, come definisce il nuovo?
«Proletariato intellettuale e intellettuali precarizzati che hanno bisogni cui dobbiamo rispondere».
Non le sembra un’utopia che nasconde una realtà più grigia?
«Ma l’utopia esiste, è radicata nello spirito degli uomini. Io credo che sempre di più il capitalismo e le sue logiche, le sue necessità appaiano inutili. Il mio cervello, il mio sapere, i miei desideri non hanno più bisogno di un padrone: io come individuo lavoro nella mia autonomia».
Che cosa resta del marxismo?
«Molto. Potrei dire che i capitalisti sono marxisti e usare una vecchia battuta secondo cui i veri sovietici stanno a Wall Street. Battute a parte, Marx fa parte di quella linea di pensiero che da Machiavelli e Spinoza passa a Hegel per arrivare a lui».
Sta preparando un altro libro?
«Sì, sto finendo di scrivere per Feltrinelli Interregno. Intervista sulla crisi della sinistra nel mondo che affronta le grandi tappe di sviluppo dei movimenti da Seattle a oggi».
Perché questo titolo?
«Perché la sinistra tradizionale, i partiti, i ds e quant’altro in Italia, i socialisti in Francia e tutti gli altri, sono ormai incapaci di comprendere le spinte che arrivano dai movimenti».
Professore, ma lei è di sinistra?
«Io sono sempre stato e continuo a essere un uomo della sinistra rivoluzionaria».
Quindi non crede nella politica tradizionale, parlamentare?
«Penso che possa essere utile, sulla base dei principi che puntano, comunque, al superamento del capitalismo».
C’è una sua frase che colpisce, quella in cui critica «la voluttà con cui parte della sinistra italiana si serve della magistratura come arma politica». Nasce da esperienze personali?
«Nasce anche da lì, certo, ed è una critica al modo con cui la classe politica, a sinistra come a destra, ha usato la magistratura. D’altra parte fa parte della nostra struttura costituzionale. In America o in Francia, per esempio, esiste un preciso rapporto tra magistratura ed esecutivo. Soltanto in Italia c’è questa incredibile e assurda indipendenza della magistratura e la possibilità di usare l’arma giudiziaria per sporchi giochi, oggi come ieri con l’antiterrorismo».
Ieri quando lei veniva definito un cattivo maestro.

Non le fa effetto essere diventato oggi un guru, un profeta del pensiero occidentale?
«Credo di non aver meritato questa fama, che per altro è solo italiana. In Francia ho sempre avuto ben altra considerazione. Io sono stato una vittima, un capro espiatorio e ringrazio, dopo tanti anni, di esserne uscito vivo».

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