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Torino, bimba di nove mesi sbranata da due rottweiler

Torino, bimba di nove mesi sbranata da due rottweiler

Non si trova più in giro una famiglia che prenda in casa un cocker. I canili sono zeppi di bastardi simpaticissimi, dolcissimi, intelligentissimi: niente, il bastardo non tira più. Questo nuovo animalismo post-moderno e modaiolo, che impone il cane giusto come la cintura giusta e l’occhiale giusto, vuole a tutti i costi il cane brutto e cattivo. Lassie e Rin Tin Tin, le espressioni tenere da amico sottomesso, lo stesso bonaccione che alza sempre la zampa in segno di saluto: tutto un ciarpame rimosso e buttato. Adesso va un altro genere: bavosi, gelidi, dichiaratamente carogne. Basta guardarsi in giro. Case, parchi, lungomare: nel giro di pochi anni, l’Italia si è popolata di amabili macchine da guerra, all’insegna del famolo strano pure quando adottiamo un cane. Poi, ciclicamente, arriva da un luogo qualunque la solita notizia sul solito «inspiegabile» incidente. E allora, ma tu guarda il caso, ci ritroviamo improvvisamente a contemplare le tristi sequenze di un indicibile orrore. Alessia, nove mesi: stavolta la vittima ha l’età degli angeli. Poche le note di cronaca, perché indugiare troppo su certi dettagli serve soltanto a rendere il tutto insopportabile. In sintesi: Rivara, paesotto del Torinese, i genitori vanno al lavoro e affidano la bimba alla nonna. In mattinata, la piccola sta in braccio alla nonna, quando torna da una passeggiata nel giardino di casa.
Dietro di loro, la colf e una cuginetta. Dentro, circolano liberi i due amici dell’uomo, razza Rottweiler, otto e nove anni d’età. Anche questi, si specifica, «non hanno mai manifestato in passato comportamenti che lasciassero intuire una possibile aggressività». La specificazione, ricorrente e monotona, viene sventolata ogni volta dai solerti difensori d’ufficio come attenuante generica per i killer a quattro zampe, operazione peraltro abbastanza patetica, perché non s’è mai visto un cane nascere con il marchio «attenzione, sono feroce» ben evidenziato in fronte. E comunque. Inspiegabilmente, magari per una mossa strana o una parola sgradita, chi può dirlo, a un certo punto i rottweiler tanto affettuosi e carini scattano come belve. Solo pochi attimi. La colf e la cuginetta, più indietro, riescono a scappare. Per la piccola Alessia c’è poco da fare: basterebbe molto meno. Quanto alla nonna, che cerca in qualche modo di difenderla, c’è la corsa al Cto di Torino, dove fortunatamente un intervento chirurgico le salva il braccio destro. I due cani, che all’arrivo dei carabinieri sembrano già mansueti peluche, sono ora in attesa di sapere se gli esperti strizzacervelli li ritengano pericolosi o no, prima di un eventuale abbattimento. Così funziona di solito: pare che un morto non basti, per attribuire antipatiche etichette.
Questo è quanto. Adesso, mentre la Turco si affretta a difendere la sua legge e il suo pittoresco opuscolo sul rapporto tra cani e bimbi, prepariamoci a riascoltare la puntigliosa accademia di certi veterinari, certi allevatori, certi appassionati padroni, questi paludati ultrà dell’animalismo che tempestivamente ci spiegano come la colpa non sia mai dei cani, bensì nostra, incapaci di comprenderli e gestirli.
Eppure. Non tutti siamo scienziati del mondo animale, ma la nuda statistica comincia a farsi stringente. Non risultano umani sbranati da cocker o da sanbernardi. Al centro degli episodi più turpi ci sono sempre loro: pit-bull, rottweiler, dobermann e via geneticamente modificando. Insondabili, le tendenze moderne: più sono forti, più sono sinistri, più sono temibili, più piacciono. Nelle case dei signori, ma anche nelle villette a schiera dell’estrema provincia. È un nuovo status-symbol: il cane borchiato.
Spiegano i padroni: sono cani necessari per la difesa. E come no. Peccato che a memoria d’uomo non si ricordi un farabutto bloccato da una di queste inflessibili guardie. Solo vecchie nonne, bambini in fasce, qualche avvenente tardona che fa incautamente jogging lungo il percorso. Vietato però tirare conclusioni. Non si può, non sta bene. Parlar male di certi cani, azzardare che quanto meno appaiono un po’ psicolabili, è peggio che parlar male dei cristiani. Si sente dire che è sbagliato generalizzare. Sarà pure sbagliato, ma aiuta a capirsi. Se diciamo che i giapponesi sono tendenzialmente più frenetici dei messicani, nessuno si indigna. Prova tu a dire che i rottweiler sono tendenzialmente più feroci dei barboncini: i talebani che circolano per i parchi spiegheranno che non è vero. Che dipende. Dipende da cosa? Dipende dal padrone. Ciascuno di loro è chiaramente convinto che la propria bestia, fosse pure un ghepardo, non farebbe del male a una mosca. Tanto caro, il mio cucciolone. È un coro assordante e soprattutto arrogante.

Ormai non si può più tardare: prima che ai cani, la museruola va messa ai loro conducenti.

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