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Tormentoni: adesso è di moda «andiamo a...»

Caro Granzotto, non so se ci ha fatto caso lei, ma sia alla radio, sia alla televisione è tutto un «andiamo a... ». Andiamo a vedere il filmato, andiamo ad ascoltare Baglioni, andiamo a presentare gli ospiti, andiamo alla moviola... Mi dica, cos’è mai tutto questo andare e andare e andare? Non sarebbe più corretto un «vediamoci il filmato», «ascoltiamo Baglioni», «vi presento gli ospiti» eccetera? La Rai è una cattiva maestra!

È davvero sorprendente la velocità di trasmissione dei modi verbali e la rapidità con la quale sono adottati finendo per diventare veri e propri tormentoni. Dal «diciamo pure» e «come dire?» di D’Alema al «quant’altro», dal «piuttosto che» in senso disgiuntivo al «mettersi in gioco» ora è il turno dell’«andiamo a... », che furoreggia. Tutto ciò contribuisce alla persistente omogeneizzazione del linguaggio che sempre più tende al basso e al povero, ma a questo malanno non c’è rimedio, caro Portalupi: tocca sopportare. Intendiamoci, di per sé, nell’«andiamo a leggere... », «andiamo a sentire... », «andiamo a vedere... » (con la variante un po’ bifolca «andiamoci a vedere... » per sottolineare la partecipazione di chi parla) non ci si vede niente di male. È un legittimo strumento sintattico, una perifrasi con valore ingressivo, come lo sono il «darsi a», «mettersi a» o «prendere a» seguiti dall’infinito. Resta il fatto che nel nostro caso il verbo «andare» non viene adottato in senso letterale, che è quello legato al movimento, e ciò da un lato conferisce alla locuzione un tono domestico, dimesso, dall’altro insinua il sospetto di una forma non corretta. Può darsi che ciò dipenda dall’effetto farsesco di un’esortazione assai popolare nell’era pre televisiva, in tempi cioè di circhi, di fiere, di compagnie di giro, di imbonitori e di saltimbanchi. Mi riferisco al «Venghino, venghino» seguito da: «Lo spettacolo va a cominciare». Qualche linguista sostiene poi che le espressioni «andiamo a vedere» o «andiamo a leggere» siano dei francesismi, calchino cioè la costruzione «être en train de... » o, più platealmente, del verbo «aller», andare, seguito dall’infinito («on va voir»). Altri fanno riferimento al costrutto inglese «to be» seguito dal participio presente, ma in ogni caso si tratta di adozioni e calchi linguistici ai quali si ricorre, come scriveva Nicolò Tommaseo, per «rimpulizzire con gualdrappe straniere la lingua italiana tacciata per troppo plebea». E dunque da evitare.
Io non sono di questa idea. Ciò che rende pestifero a lei, caro Portalupi, a me e a moltissimi altri l’«andiamo a... » è solo la martellante ripetizione, l’abuso, lo scempio che se ne fa. In sé, la perifrasi è impeccabile e posso esibire tanto di certificato di idoneità.

Nella Prefazione di Francesco Pitteri al mio Vocabolario degli Accademici della Crusca, seconda edizione veneta, 1763, si legge: «Noi medesimi pure molte cose abbiamo osservate, e ne andiamo osservando tuttavia, di che speriamo poter fare appresso la fine una non dispregevole aggiunta anche d’altre voci, e d’altri esempj, in cui ci siamo imbattuti dopo trascorsa la stampa». Oltre alla sfilza di congiunzioni precedute dalla virgola, a smentire il luogo comune che le vuole tassativamente poste dopo il segno di interpunzione, c’è un bel «ne andiamo osservando». Serve altro?

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