Sarà il tenore Giuseppe Filianoti a vestire i panni di Don Ottavio, fra i protagonisti del Don Giovanni di Mozart-Da Ponte, lopera che il 7 dicembre segna il debutto del cartellone scaligero. Trentasette anni, di Reggio Calabria, accasato a Piacenza, Filianoti incarnerà lanti-Don Giovanni. Tanto luno è dissoluto, licenzioso, mosso da spavalda energia, tanto Ottavio è fedele, coerente, lincarnazione del principio etico. Scrupoloso al punto che ha bisogno di prove lampanti per convincersi che Don Giovanni, gran seduttore di donne, tra cui la propria fidanzata (Donna Anna), sia colpevole dei misfatti. E alla fine, niente duelli, sarà la giustizia a fare il suo corso. Don Ottavio è accusato di inettitudine e indecisione. Ma Filianoti e il regista Robert Carsen, assicurano che faranno di tutto per riabilitarlo. A proposito di riabilitazioni. Il tenore torna alla Scala dopo il diluvio di tre anni fa. Vi ricordate? Doveva essere il protagonista del Don Carlo del 7 dicembre 2008, ma a un giorno dal debutto veniva cancellato dal cast per screzi con il direttore dorchestra Daniele Gatti. Filianoti ha continuato a lavorare con la Scala, e più precisamente con il direttore Barenboim, ma solo per tournée allestero.
È stato Barenboim a riportarla a Milano?
«Ha sicuramente inciso. Il sovrintendente Lissner mi ha poi telefonato dicendo. Ti vorremmo per uninaugurazione».
Che teatro ha trovato?
«Unaltra Scala. Il merito è di Barenboim e della sua straordinaria capacità di sdrammatizzare, fa in modo che questo evento non ceda allisteria. È preciso, ma non è pignolo fino a farti esaurire. Asseconda le esigenze del cantante, che ne so, chiede se ci vanno bene i tempi staccati, oppure è meglio rallentare o accelerare».
Che Don Ottavio ci dobbiamo aspettare?
«Un uomo rispettoso dei codici cavallereschi, lopposto della libertà totale di Don Giovanni. Difende i valori della famiglia e della donna. Carsen lo vuole particolarmente riflessivo, molto attento a ogni mossa che fa. Il regista ha insistito sul fatto che pure Ottavio subisce la fascinazione esercitata da Don Giovanni, ed è così soggiogato da non poterlo credere omicida e seduttore. Il mio personaggio ha poi due delle più belle arie per tenore scritte da Mozart: eleganti esattamente come lui, Il mio tesoro e Dalla sua pace».
Come è possibile che non faccia una piega quando la fidanzata, Donna Anna, temporeggia dopo la proposta di matrimonio?
«Don Ottavio non prova rancore perché è un sentimento estraneo ai canoni cavallereschi. Bisogna riandare al Medioevo per capire questa figura».
Quanto a Lei. Risentito per il mancato Don Carlo?
«I fatti non si cancellano, però amo guardare avanti e non portare rancori. Da questa esperienza ho imparato che bisogna lavorare con persone che offrano garanzie. Poi certi ruoli non si fanno alla Scala».
Per esempio?
«Quelli verdiani: troppo legati ai grandi nomi del passato, fischiati pure loro, però dopo la morte si sa. Non farò mai Traviata».
Lei è di casa in un teatro come il Metropolitan di New York. In cosa consiste lunicità della Scala?
«Nel suo pubblico: caldo, che non perdona niente. La Scala è il simbolo dello spettatore italiano, noto per essere molto passionale, istintivo, pronto a lanciarsi in giudizi con quellinventiva che è capacità di salvarsi allultimo. Al Met la gente va per divertirsi, accetta quello che viene proposto e quando contesta lo fa con moderazione».
Perché canta sempre meno in Italia? A quando il prossimo ritorno?
«Ci sono progetti su Roma, ma è ancora tutto da definire. I nostri teatri ormai non hanno più soldi.
E chi ha puntato tutto, o quasi, sullItalia?
«Ho colleghi che hanno costruito una carriera anzitutto italiana, ora faticano».
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