Le tre opposizioni che fanno traballare la maggioranza

Meglio tardi che mai, autorevoli esponenti del centrosinistra hanno scoperto l'America. Hanno scoperto, pensate un po', che il governo al Senato rischia di soccombere. Fatta la diagnosi, si è cercata la terapia. E alla fine la si è trovata. Prima il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta e a ruota il presidente dei senatori dell'Ulivo Anna Finocchiaro hanno detto le stesse cose. La ricetta? «Qui bisogna allargare la maggioranza, altrimenti saranno guai seri». Volete la riprova che la situazione è grave ma non è seria? Sono giorni che si soppesano con il bilancino del farmacista queste parole. E l'ermeneutica, ovverosia la scienza dell'interpretazione, va per la maggiore. A dare ascolto agli alti papaveri dell’Unione, ci sarebbe la pretesa di fare la frittata senza rompere le uova. Si rifiutano gli inciuci. Si dice no ad acquisti di senatori del centrodestra sotto banco. Si confida di galleggiare grazie a un dialogo costruttivo con l'opposizione. Insomma, si vorrebbe una opposizione «responsabile» che faccia all'occorrenza da ruota di scorta. Ma la predica viene da un pulpito sospetto. Perché, quando nella passata legislatura era all'opposizione, il centrosinistra ha detto no su tutto, perfino su quegli articoli della riforma costituzionale che recepirono i suoi emendamenti.
L'impressione è che le sortite di Letta e della Finocchiaro non siano altro che ballons d'essai lanciati per vedere l'effetto che facevano. Visto e considerato che neppure Marco Follini ha abboccato all'amo, si è fatta precipitosamente marcia indietro. A incaricarsene è stato Romano Prodi in persona. Nell'intervista al Corriere della Sera ha affermato che avere una maggioranza parlamentare risicata - udite udite - «è più thrilling, c'è più avventura. Vuole la verità? È più sexy». È proprio il caso di dire che chi si accontenta, gode. Maggioranze allargate? Maggioranze a geometria variabile? Una maggioranza per questo provvedimento e un'altra per quello? Per carità, sostiene Prodi con aria schifata. E a questo punto si sfila l'asso dalla manica. «Voglio chiarire che la mia maggioranza risponde a un disegno politico e se il mio governo perde si va a votare. Sono stato chiaro?».
Il guaio è che con queste regole del gioco istituzionali non è affatto detto. E così il Professore si trova più che mai tra l'incudine e il martello. Se continua a porre la fiducia su ogni provvedimento, rischia di rompersi l'osso del collo. Se non la pone, rischia di mandare a gambe all'aria un programma di governo scritto con l'inchiostro simpatico. È un luogo comune che Prodi sia nato con la camicia. Fatto sta che deve vedersela con tre opposizioni che non gli danno respiro. La prima è quella interna alla sua maggioranza, soprattutto della sinistra radicale. La seconda è quella sociale, con un po’ tutte le categorie in fermento: tassisti, farmacisti, avvocati, notai. Il risultato è che il governo, per evitare guai peggiori, è costretto a fare un passo avanti e due indietro. La terza è quella della Casa delle libertà, che ha già mandato parecchie volte sotto il governo. E se a Palazzo Madama fosse sempre presente al completo, cosa che purtroppo non sempre accade, con ogni probabilità Prodi sarebbe già caduto giù per terra. E avrebbe avuto una illacrimata sepoltura.


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