Tre ragazzi annoiati massacrano un barbone

Convocati in caserma, i genitori, tutte persone perbene, sono scoppiati in lacrime: «Non riusciamo a capire». Invece era tutto drammaticamente vero: i loro tre figlioletti per concludere in bellezza la serata hanno quasi massacrato un barbone. L’uomo è ora in prognosi riservata in ospedale, anche se non dovrebbe correre pericolo di vita. L’aggressione non è stata una decisione improvvisa visto che i giovani erano partiti da casa con una spranga di ferro e un cacciavite acuminato.
L’altra notte verso le 2.30, via Argelati, prima traversa a sinistra imboccando Ripa di Porta Ticinese, un clochard sta camminando tranquillamente. All’altezza della piscina viene fermato da un ragazzo: «Hai una sigaretta». Il senza tetto lo guarda un po’ sorpreso: «Ne ho poche», risponde, e tira dritto. Fa pochi passi e spuntano fuori gli altri due bravacci, quasi come fosse una manovra studiata. Questa volta la richiesta è esplicita: «Fuori i soldi». Il poveretto cerca la fuga, ma non riesce a fare due passi che i giovani gli sono addosso e cominciano a pestarlo, alternandosi tra chi lo tiene fermo e chi lo picchia. Nella foga spunta fuori anche una specie di manganello in metallo e un cacciavite.
L’aggressione prosegue per diversi minuti. Tanto che alcuni passanti notano la scena e chiamano il 112. Dalla centrale viene subito spostato un equipaggio che, essendo già in zona, arriva veramente in un baleno. Infatti i tre teppisti, appena smesso di picchiare il barbone, se la squagliano imboccando via Magolfa per raggiungere la Fiat Cinquecento parcheggiata poco distante. Proprio mentre stanno arrivando le forze dell’ordine.
I carabinieri hanno la descrizione degli aggressori e notano subito i tre che, appena vedono la pattuglia, cercano di nascondersi ma vengono bloccati in un attimo. Anche perché un conto è pestare un povero barbone che sta in piedi per scommessa, un altro è reagire di fronte a due militari. I tre vengono portati davanti alla vittima che li riconosce senza esitazioni. Dalla perquisizione poi saltano fuori le armi usate nella spedizione: spranghetta e cacciavite.
Il clochard finisce al Policlinico. Ha contusioni, ecchimosi ed ematomi su tutto il corpo, un buco sul gluteo destro, provocato dal cacciavite. Ma quel che preoccupa sono i colpi in testa. Non dovrebbero essere particolarmente gravi ma, a scanso di equivoci, l’uomo viene trattenuto sotto osservazione in prognosi riservata. Incerta la sua identità. Addosso non ha documenti, ai carabinieri ha raccontato di essere nato in Svizzera nel 1965. È comunque un «volto noto» nel quartiere, diversi residenti lo ricordano come persona tutto sommato discreta, che non ha mai dato fastidio a nessuno. Anzi, in qualche modo cercava pure di rendersi utile, proponendosi come «badante» per gli anziani.
I tre nel frattempo vengono identificati. I carabinieri di loro però non dicono molto, tranne che vengono dall’hinterland, che uno ha 24 anni e lavora con il padre commerciante d’auto, mentre gli altri, entrambi ventenni, hanno finito gli studi e si fanno mantenere dai genitori impiegati.

Una volta in caserma scoppiano a piangere, come pure i genitori, sconvolti e incapaci di capire come possa essere successo. Il pm Luca Poniz invece sembra meno incline alla commozione e li sbatte dentro con un’accusa da far tremare i polsi: tentato omicidio a scopo di rapina. Roba da beccarsi dieci anni.

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