Politica

Le tre regole di Osama per colpire i nemici

Marcello Foa

Hanno tempo, hanno pazienza. E mantengono sempre le promesse. Sono passati nove anni da quando Al Qaida colpì per la prima volta l’Occidente. Da allora si è ripetuta più volte. Diversi i contesti, ricorrenti tre modalità. Queste.
1) Al Qaida annuncia i propri obiettivi. Osama tace da molti mesi. Pare sia rintanato nelle montagne a cavallo tra Afghanistan e Pakistan. Ma la spietata efficienza di Al Qaida non ne ha risentito. I terroristi sanno da tempo quali sono i Paesi che devono essere colpiti. Sono quelli indicati dallo stesso Bin Laden a più riprese tra l’11 settembre 2001 e la primavera 2003. Nei suoi proclami Osama aveva minacciato Stati Uniti, Gran Bretagna, Polonia, Israele, Spagna, Italia, Giappone, Norvegia. E ancora: Arabia Saudita, Qatar, Bahrain, Kuwait, Giordania. Le ragioni sono note: si tratta di alleati fedeli degli Usa o cruciali per gli interessi geostrategici della Casa Bianca. Finora Washington, Londra, Madrid, Riad, Doha, Kuwait City sono state attaccate. All’elenco mancano Roma, Oslo, Varsavia, Tokyo, Amman, Gerusalemme, El Bahrain. La questione non è se questi Paesi siano in pericolo, ma quando verranno sfregiati e in quale ordine? Toccherà prima a noi, ai polacchi o ai norvegesi? O forse ai danesi, se i proclami pubblicati in queste ore da gruppi vicini ad Al Qaida, risulteranno attendibili.
2) La sorpresa. Bin Laden colpisce quando l’avversario è impreparato o perlomeno distratto. Gli attentati dell’11 settembre furono possibili a cause delle inefficienze dei servizi segreti Usa. Dopo il crollo delle Torri Gemelle, Stati Uniti ed Europa temettero un nuovo attacco. Ma non accadde nulla per oltre un anno. I terroristi colpirono dove nessuno si aspettava: in Asia, in una discoteca di Bali nell’ottobre 2002. Le bombe in Spagna colsero tutti in contropiede: alla vigilia delle elezioni del 2004, i servizi di Madrid temevano azioni dell’Eta, non di Al Qaida. Subito dopo scattò l’allarme in tutta Europa, ma per sedici mesi i terroristi sono rimasti tranquilli. Si sono fatti sentire l’altro ieri. Anche in questo caso con grande tempismo: Scotland Yard temeva attentati contro i leader del G8, in Scozia. E invece i terroristi hanno colpito quello che, paradossalmente, era diventato per tre giorni il punto debole della Gran Bretagna. Sotto controllo tutto l’anno, la capitale nei giorni scorsi era parzialmente sguarnita: molti poliziotti e gran parte degli agenti segreti erano a Gleneagles. Un’opportunità che non è stata sprecata.
Quando decideranno di colpire la prossima volta useranno tattiche analoghe. E allora, per esclusione: non entro pochi giorni, non a Natale, non a Pasqua, non sotto elezioni, perché troppo prevedibile. Forse cambieranno le modalità o i bersagli. Una sola certezza: i rischi di un attentato saranno inversamente proporzionali al grado di allerta: bassi quando è alto, alti quando l’allarme è basso.
3) Le cellule in sonno. Fonti islamiche londinesi, citate ieri dal quotidiano arabo Al Sharq Al Awsat, lo hanno confermato: gli attentati di Londra sarebbero stati pianificati almeno sei mesi fa e compiuti da attivisti che vivono da tempo in Gran Bretagna: terroristi che conducono un’esistenza insospettabile e che attendono, per settimane, per mesi, talvolta per anni un messaggio in codice per entrare in azione. Le cellule dormienti sarebbero centinaia in tutta Europa. Rispondono a pochi capi regionali che agiscono in totale autonomia. Individuarli è difficile, quasi impossibile.
marcello.

foa@ilgiornale.it

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