da Milano
Per lui, il fascinoso Ian Storey, Tristan rappresenta un debutto di ruolo, quindi il cantante ha fatto piazza pulita di ogni impegno per concentrarsi sullopera inaugurale della Scala. Superallenamento vocale e corporale, equivalenti a sei-sette ore di studio dello spartito più unora e mezzo in palestra. In palestra? Già, «per aumentare la resistenza», ci spiega il tenore, fisico asciutto e atletico, nato architetto e scopertosi cantante nella remota Nuova Zelanda. Artista noto alla Scala per passate produzioni e nellentourage del direttore d'orchestra Daniel Barenboim.
Come è arrivato questo contratto scaligero?
«Tramite Barenboim che in marzo mi ha proposto il ruolo».
Tempi stretti per un ruolo wagneriano...
«Lo stesso Barenboim ammette che Tristan richiede un anno di studio. Io ci lavoro da sei mesi, in compenso non penso che a Tristano».
Un ruolo massacrante...
«Sono due ore di canto. È come fare tre Otello di Verdi».
Quindi massima concentrazione?».
«Da parte mia assoluta».
Cosa vuole il regista Patrice Chereau dal suo Tristan?
«Non vuole un personaggio debole, così come spesso viene inteso. Anzi, sarà un Tristan forte, dotato di self control, intenso. Certo, con poca esperienza con le donne».
E quindi cosa aspettarsi del duetto damore del secondo atto?
«Una discussione profonda, filosofica».
Chi è Tristan.
«Un uomo che intraprende un lungo viaggio dove la fine della vita coincide con linizio di una nuova esistenza».
Cosa ama di Chereau?
«Il fatto che dopo 24 ore riesce a rivoluzionarti una cosa che pensavi fissata per sempre, perfetta così.
Lei ha un repertorio flessibile, da Wagner, Puccini, Strauss...
«Sì, favorisce la freschezza della voce. In Italia per i ruoli di opere italiane si richiedono voci latine, ma allestero non è così».
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