Politica

Troppa burocrazia? Sì, noi cittadini la conosciamo bene

Il Pdl è nudo. Il più grande partito italiano alle prossime regionali, al momento, non ha candidati in Lombardia e nel Lazio. Dopo l’espulsione della lista Formigoni, infatti, ieri è stata cancellata anche quella della Polverini. E se a questa paradossale combinazione si aggiunge la comica dell’annullamento della lista provinciale di Roma del Pdl, si ha una rappresentazione grottesca del Popolo della libertà. Tutto per una questione di burocrazia. Un partito che fa la figura di quei poveri sprovveduti che faticano perfino a presentare domanda per allacciare il gas. E si lamentano pure.
A questo punto uno se lo chiede. Ma come vivono questi politici? Questi qui che stanno nei partiti, preparano le liste, vanno in giro a chiedere voti, fanno le feste, e poi mettono la pancia in fuori e guardano il prossimo con l’aria da assessore. Sì, davvero, ma come vivono? Sono mai andati a pagare una bolletta del gas o della luce? E un passaporto? Si rinnova ogni dieci anni, spesso per sfiga proprio quella volta che devi partire. Ci vuole un mese per un passaporto. Se non lo fai puoi dire ciao ciao all’aereo e sognarti le vacanze nella vasca da bagno. Per tutte le persone normali funziona così di solito. C’è la burocrazia, la maledetta burocrazia, quella che ti lascia senza patente perché la motorizzazione civile ha i suoi tempi. E i vigili, se non conosci almeno un consigliere di circoscrizione, se ne fregano se hai preso un cappuccino o c’era una telefonata urgente. Vai come tutti a fare la fila. Questa è la burocrazia. Attenzione. Non è un’invenzione dei cittadini, dei poveri sudditi. La burocrazia nasce anche dal menefreghismo dei politici. Ed ora sappiamo perché. Loro la burocrazia non l’hanno mai vista. Non la conoscono. Non sanno neppure cosa sia. C’è sempre qualcuno che fa la fila per loro, evidentemente.
Questo spiega tutto. Poi si può parlare di democrazia, di trabocchetti radicali, dell’assurdità di guardare il partito più votato d’Italia sulla porta d’uscita del Lazio e della Lombardia. Si può dire che la sostanza conta, che il destino elettorale di un Paese non può stare in mano ai vari tribunali d’appello, con una babele di verdetti regione per regione. Si può dire tutto questo. Ma qualcosa che non funziona c’è. Non funzionano le firme raccolte per Formigoni. Non funziona l’orario dei candidati del Pdl. Non funziona il listino della Polverini. Cose formali, certo. Particolari, non c’è dubbio. Ma sono proprio quelle formalità e quei particolari che ogni santo giorno rendono la vita difficile alla gente comune, quella che perde le ore perfino per iscrivere a scuola il figlio. Quella che se manca un foglio, un bollo, una virgola si ritrova fuori da un concorso.
La morale è questa. I «privati» ogni volta che hanno a che fare con il pubblico bestemmiano. Ma stanno attenti a non sbagliare. Gli uomini che si candidano alla res publica hanno a che fare con il pubblico, quello che sarà il loro mestiere, e sbagliano. Sbagliano tutto. E l’unica cosa che sanno dire è: speriamo che io me la cavo.

Come gli studenti sgarrupati del maestro D’Orta.

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