Mosca. Lo hanno boicottato in ogni modo, impedendo persino a sua moglie e a sua figlia di imbarcarsi su un aereo in partenza da San Pietroburgo e diretto all'estero, sebbene avessero i documenti in regola. E alla fine Garry Kasparov è stato costretto ad arrendersi: non parteciperà alle elezioni presidenziali di marzo. Per formalizzare la candidatura l'ex campione del mondo di scacchi, che da un paio d'anni guida il movimento politico Altra Russia, avrebbe dovuto informare entro oggi la commissione elettorale centrale sullo svolgimento del Congresso d'investitura del suo Partito, obbligatorio per legge. Ma in tutta Mosca non ha trovato nessuno disposto ad affittargli una sala sufficientemente ampia. Per cinque volte si è sentito rispondere niet, l'ultimo dal cinema Mir che dopo aver firmato il contratto e incassato i soldi ha dato improvvisamente forfeit, senza fornire spiegazioni.
Il messaggio è chiaro: il regime non vuole Kasparov tra i piedi e a lui non resta che prenderne amaramente atto. «La mia campagna presidenziale finisce oggi», ha dichiarato ieri.
Kasparov peraltro non è l'unico a subire pressioni da un regime che vive nella psicosi di un complotto americano.
In compenso i russi stanno pensando di intitolare a Putin una città sul Volga.
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