All’assemblea di Confindustria Berlusconi si è sfogato. Ha espresso la sua amarezza per attacchi che ritiene ingiustificati, per insinuazioni che ritiene calunniose, per le pastoie istituzionali che limitano, rallentano, qualche volta vanificano i suoi poteri di capo dell’esecutivo. Sfogandosi, il Cavaliere ha riportato il dibattito politico sulle cose serie. Che non sono né la sua conoscenza con Benedetto Letizia né la sua preferenza per le canzoni di Apicella. Le cose serie riguardano la magistratura - e la faziosità d’alcuni suoi componenti - ma soprattutto riguardano il paradosso d’una maggioranza parlamentare a prova di bomba che non riesce a far valere la sua volontà perché il sistema è anchilosato. Le due assemblee - Camera e Senato - sulle quali poggia, per una Costituzione nata nell'incubo di un nuovo fascismo, il funzionamento della Repubblica, sono pletoriche e inefficienti. Berlusconi lo ha detto con chiarezza, se volete con brutalità. Aggiungendo che l’iniziativa di snellirle dovrebbe venire da un disegno di legge d’iniziativa popolare, non parlamentare, «perché non si può chiedere ai capponi di anticipare il Natale». I suoi capponi Silvio li conosce bene.
La popolarità di Berlusconi, che secondo i sondaggi è già alle stelle, conoscerà dopo queste dichiarazioni un’impennata. Un’infinità di italiani, diciamolo con schiettezza, non stima i deputati e i senatori d’oggi - se è per quello stimava poco anche i deputati e i senatori di ieri - e brinderebbe sia a una riduzione del loro numero, sia ad una non meno consistente riduzione dei loro emolumenti. Questo stato d’animo affiora, impotente, mentre l’elettorato si accinge a mandare a Strasburgo nullafacenti ricoperti d’oro.
Critiche alla presa di posizione del Cavaliere sono venute, prevedibilmente, dall’opposizione e, altrettanto prevedibilmente, da Fini che con sempre maggiore frequenza punzecchia Berlusconi con le sue banderillas polemiche e che, in perfetto trombonese, ha definito il Parlamento «un interlocutore ineludibile, qualificato e impegnato».
Alla palese insofferenza di Silvio per i riti istituzionali possono essere opposte due obiezioni. 1) Quei riti formali appartengono anche all’essenza sostanziale della democrazia. 2) Se il taglio ai parlamentari e alle loro prebende appare indispensabile perché Berlusconi non l’ha già attuato nei suoi anni di governo? Comincio dal secondo punto, e dal ragionamento dei capponi. Nemmeno un Berlusconi, apostolo del fare, riesce a indurre all’austerità pennuti abituati all’ingrasso. Ha bisogno, perfino lui, d’un aiuto esterno che gli italiani sarebbero felici di dargli, ma che non riesce a manifestarsi. Aggiungiamo, come attenuante per il Cavaliere, che una ragionevole anche se forse troppo tenue proposta di riforma costituzionale lui l’aveva elaborata e varata, i parlamentari erano meno, le due assemblee - che ora agiscono in fotocopia - avevano compiti diversi. Ma il progetto fu affossato dalla sinistra e, incredibilmente, anche da un referendum popolare. Con il che si verificò che una volta tanto da capponi si fossero comportati gli elettori. Adesso Berlusconi ci riprova. Benissimo. Ma non sia timido. Quanto al primo punto. La democrazia, è vero, si regge anche su procedure complesse e ritardatrici. Se le avessimo avute, e avessero impedito l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale saremmo qui a festeggiarle. Ma non si deve esagerare.
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