Atlanta si specchia nel passato: bianco e nero non è solo la tv. Colore, razza, diversità. C’è odore di segregazione. C’è ricordo di Rosa Parks. Il Sud razzista: quartieri divisi seguendo i lineamenti. Qui gli afro, lì i wasp. L’avevano chiamata così, la città: «Too busy to hate». L’odio mai provato. Era troppo impegnata per un sentimento così. Mica come gli altri, quelli che vivevano la violenza come missione, stile di vita, abitudine. Settanta, ottanta, novanta, duemila. Il futuro deve aver cambiato molto. Quello che non c’è stato prima, forse c’è ora. I documenti di oggi hanno il linguaggio di ieri: «Non c’è spazio per la convivenza. La comunità bianca non sopporta più di vivere accanto a chi semina violenza». La secessione del 2007 arriva dal basso: due sobborghi abitati dai bianchi vogliono lasciare la città. Perché è troppo nera per loro. «È cattiva». «Fa paura». Vogliono un muro politico, una barriera, un modo per sentirsi estranei. Vogliono una linea, un limite, una traccia che indichi l’appartenenza: un luogo per una razza.
L’idea è diventata un progetto di legge. Ora naviga per i banchi dell’assemblea statale della Georgia. Scritta e firmata dalla maggioranza repubblicana del congressino. La mappa allegata al progetto di legge ha segni rossi che sembrano confini: la Fulton County dovrebbe diventare più piccola, accorciarsi da Nord di qualche chilometro per tenere fuori i due sobborghi che chiedono l’indipendenza dalla metropoli. Lontani, separati, sconosciuti: ricreerebbero una contea sparita dalla cartina geografica nel 1932, all’epoca della Grande Depressione. Si chiamava Milton County. Bianca da sempre. Repubblicana. Oggi in quei posti ci vivono trecentomila persone. È una delle zone più ricche dello Stato.
Al Congresso della Georgia si combatte. Democratici contro repubblicani. Vuol dire anche neri contro bianchi. Il senatore afro Vincent Fort è il capo della rivolta anti secessione: «Se passerà questa legge, scorrerà del sangue in aula. Mi impegno a immaginare che non sia un provvedimento razziale, ma è impossibile arrivare ad altre conclusioni». Per far passare il testo, bisogna cambiare la Costituzione. Non perché sia vietato odiare, ma perché la carta madre non prevede la possibilità di cambiare la cartina geografica. La Milton County può esistere solo con un emendamento. Lo chiedono, lo vogliono, lo urlano quei trecentomila. Minoranza. Sono meno di un decimo della popolazione dell’area di Atlanta, però pagano il 42 per cento delle tasse di tutta la zona. Alzano la voce e vengono ascoltati per questo. Contano. Lo sanno anche i neri: «Se si tolgono quei soldi dalle casse, soffriremo tutti». La diversità delle razze è lo sfondo. Ad Atlanta è quasi una novità. Martin Luther King nacque qui, ma predicò altrove. «Troppo impegnata per odiare». Il conflitto tra bianchi e neri faceva parte della storia lontana. Gli yankee antischiavisti arrivarono durante la guerra di secessione: cancellarono la città col fuoco. L’incendio di Via col Vento, di Rossella O’Hara che cancella i suoi sogni da confederata. L’indomani di Atlanta è stato un altro giorno. Ma strano: quando la città fu ricostruita, i bianchi cacciarono tutti gli afroamericani. Non li volevano, poi li hanno accettati. Unici sotto la linea del Potomac: quando le lotte contro la segregazione infiammavano le Caroline, il resto della Georgia, l’Alabama, la Louisiana, il Tennessee, Atlanta sembrava fregarsene. Sì, c’era l’atmosfera, ma diversa. Leggera. Il passato ora sembra rincorrere il futuro: trent’anni dopo qualcuno non vuole la società multietnica. Ognuno a casa sua, a seconda dei colori. È un contrasto che cresce, così come cresce la forbice della demografia.
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