Lo storico spazio di antiquariato al numero 110 di corso Garibaldi non c’è più. Al suo posto, è in allestimento un temporary shop. Un negozio, cioè, che rimane aperto a tempo giusto per svendite e smaltimento della merce. È la nuova frontiera del commercio. Di temporary shop ce ne sono moltissimi in centro, da via Dante a corso Vittorio Emanuele. E i negozi normali che fanno? Semplice, chiudono.
Secondo i dati della Camera del Commercio nei primi sei mesi del 2009 sono state 224 le attività cessate a Milano. Cui ne vanno aggiunte altre 92 nel settore della ristorazione. Un numero comunque di molto inferiore ai negozi che aprono: più di 500. Ma attenzione: nel conteggio non sono prese in considerazione le cessazioni d’ufficio. E non si specifica che le nuove attività sono concentrate soprattutto nelle periferie. Non a caso nel 43,6 per cento dei casi i nuovi imprenditori sono stranieri. «Nei quartieri periferici stanno nascendo moltissime attività gestite da extracomunitari. Lì gli affitti costano meno e loro abbattono i costi del personale con la conduzione familiare o peggio il lavoro nero. Quindi riescono a fare affari. In centro invece chiudono soprattutto le botteghe. Anche perché gli affitti e il costo del lavoro sono altissimi», spiega Giorgio Montingelli, delegato al territorio dell’Unione del commercio.
Di vetrine vuote lungo corso Garibaldi ce ne sono una decina. Alcune sono sfitte da anni. Al civico 121, il Centro Bonsai è chiuso ormai da quasi quattro anni. E i locali sono rimasti sfitti anche nel magazzino adiacente. La posizione semi-nascosta sotto ai portici non basta come scusante. Ok, la crisi colpisce tutti e dappertutto. Ma qui siamo in corso Garibaldi, nel cuore di Milano. Ci devono essere altre ragioni. Chiusi anche un negozio di scarpe al civico 57 o quelli di abbigliamento uomo e donna al 39 e al 3. «Qui la colpa è soprattutto della ztl - attacca subito Giorgio Montingelli, che tra l’altro ha la sua attività proprio sul corso -. Non siamo un’isola pedonale, perché i residenti nel corso sono quasi mille e il traffico di auto è continuo. Allo stesso tempo, però, non è più una via di passaggio per chi viaggia in macchina per Milano, visto che qui non si può accedere. Risultato: è la morte del commercio». Ma la crisi colpisce anche via Dante, dove le auto non passano del tutto. «Colpa degli affitti - continua Montingelli -. Il mercato delle locazioni per i commercianti è completamente deregolato. I proprietari dei locali stanno alzando i prezzi in modo esponenziale. In via Dante c’è chi ha visto il proprio affitto quintuplicato rispetto al passato».
Che il prezzo degli affitti sia aumentato di molto lo confermano gli stessi commercianti in crisi. «A fine mese sarò costretto a chiudere bottega dopo 28 anni - dice Sergio Nicosia, titolare della gioielleria Cordusio -. Con i soldi che ho lasciato al proprietario dei locali mi sarei preso tre megaville in Sardegna. La verità è che ora comandano immobiliaristi e banche. Noi piccoli commercianti stiamo morendo, sopravvivono solo le grandi catene e i centri commerciali. Qui in via Dante sono tutti in difficoltà e aspettano solo il momento di vendere». D’altronde con un affitto da più di 50mila euro per un locale piccolissimo e la crisi dei consumi rientrare dalle spese non è facile.
Lungo via Dante sono tre le vetrine già sfitte. Anche se il numero è tristemente destinato a salire. Non sempre, poi, la crisi risparmia i franchising. L’abbigliamento di Motivi, per esempio, non c’è più. E nemmeno i preziosi di Frey Wille. A fine anno se ne andrà anche Salvini, un altro gioielliere. E non va meglio nelle vie limitrofe. In via Tommaso Grossi un negozio di abbigliamento maschile ha chiuso i battenti più di un anno fa e i locali sono ancora sfitti. Eppure siamo a due passi dal Duomo.
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