Troppo disinteresse sulla battaglia dell’Italia all’Onu

Robi Ronza

Al vedere quanto poco ci si interessi in Italia all'esito della battaglia in corso all'Onu per la riforma del Consiglio di Sicurezza si è tentati di giungere a meste conclusioni sul valore della democrazia.
Essere o non essere nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è cosa probabilmente più importante che essere o non essere, tanto per fare un esempio, nel girone finale dei mondiali di calcio. Vedere perciò che l'interesse suscitato dalla prima questione non è nemmeno un centesimo di quello suscitato dalla seconda è motivo di qualche sconforto.
Non è di aiuto nemmeno il vuoto di notizie dell'estate. Non c'è telegiornale che rinunci a qualche secondo di carrellata sulle auto in colonna sull'autostrada, o sui turisti che si rinfrescano da par loro nelle fontane di Roma, per darci qualche aggiornamento in proposito.
Si deve dunque rendere merito alla diplomazia e ai governi italiani, che in proposito da circa dieci anni in assoluta solitudine giocano con ardore una loro partita al Palazzo di Vetro. La vicenda è giunta adesso a una fase cruciale. Riunitesi per questo in un gruppo chiamato G4, Germania, Giappone, India e Brasile stanno puntando a ottenere il rango di grandi potenze sin qui riservato ai vincitori della Seconda guerra mondiale (Usa, Gran Bretagna, Francia, Cina e Russia in quanto erede dell'Urss), ovvero un seggio permanente con relativo diritto di veto. Fino a oggi tuttavia i G4 non sembrano disporre all'Assemblea Generale dei 128 voti necessari per far passare tale modifica statutaria. Inoltre la Cina è scesa apertamente in campo contro il Giappone rievocando i fantasmi delle sue responsabilità di grande aggressore durante la Seconda guerra mondiale. Contro il G4 è apertamente schierato un gruppo di medie potenze capeggiate dall'Italia. Non avendo infatti potuto essere l'ultimo dei primi il nostro Paese si è buttato a fare il primo dei secondi. Punta perciò a una riforma che implichi non l'allargamento del numero dei membri permanenti, ma a formule che ruotano attorno alla formazione di un rango intermedio costruito da Paesi chiamati con frequenza a partecipare come membri non permanenti ai lavori del Consiglio. Si parla anche dell'idea di dare un seggio permanente all'Europa, ma è una prospettiva molto ardua poiché presuppone la rinuncia di Francia e Gran Bretagna ai loro seggi permanenti. È probabile che entro l'anno la questione si risolva o comunque giunga a una svolta, e in questo senso l'imminente sessione autunnale dell'Assemblea Generale assume particolare importanza.
La questione è di rilievo non solo per quanto attiene al Consiglio di Sicurezza in quanto tale, ma anche con riguardo alla riforma dell'Onu in genere. Per poter servire ancora a qualcosa l'Organizzazione deve essere radicalmente ripensata.

La riforma del Consiglio di Sicurezza è in proposito il necessario primo passo.

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