Gli immigrati che appena sbarcati a Lampedusa dicono «meglio morire di fame qui che tornare in Tunisia» danno lidea del caos in cui si trova il Paese del Maghreb che ha da poco cacciato Ben Alì. Con la polizia e le capitanerie di porto che non controllano più nulla (solo ieri sera lesercito ha cominciato a presidiare il porto di Zarzis), con gommoni alla deriva recuperati al largo di Sfax carichi di cadaveri, con ministri screditati che lasciano pochi giorni dopo essere entrati in carica, come il responsabile degli Esteri, Ahmed Ounaies. Il quale ha dato le dimissioni a ridosso dellincontro che era programmato per giovedì a Roma con il nostro ministro Franco Frattini, che non a caso vola a Tunisi oggi. Ounaies, oltre tutto, è il secondo ministro degli Esteri dimissionario dalla caduta di Ben Ali. Alla fine di gennaio il suo predecessore Kamel Morjane aveva lasciato sotto la pressione della piazza che chiedeva lesclusione dellesecutivo di unità nazionale dei ministri legati al regime. E quindi anche la responsabile della politica estera dellUnione europea, lassai poco dinamica Catherine Ashton, attesa oggi in Tunisia, resterà senza interlocutore naturale.
Un Paese, la Tunisia, in cui i giornali danno pochissimo spazio allondata di partenze verso lItalia in atto in questi giorni, curiosamente dandone notizia nelle sezioni dedicate agli avvenimenti internazionali. In Tunisia, insomma, cè la voglia di un futuro migliore dallaltra parte del Mediterraneo. Perché da un lato cè tanta paura che nulla cambierà anche dopo la rivoluzione dei Gelsomini. E dallaltro cè timore che le cose possano addirittura peggiorare. Fra i tanti «perché» che spingono migliaia di persone a pericolose traversate verso lItalia spunta anche lo stop ai traffici illeciti alimentati dal clan della famiglia di Ben Ali. E soprattutto la fine del contrabbando tra Tunisia e Libia, dietro cui ci sarebbe stata la regia di uno dei fratelli della ex First lady Leila Trabelsi, la «Reggente di Cartagine».
Molti dei disperati in attesa del «viaggio della speranza» sulle spiagge tunisine avrebbero infatti perso - con la fuga del clan del presidente - la loro fonte di reddito: il contrabbando di molte merci che, secondo alcune fonti, comprendeva anche prodotti di fabbricazione cinese importati dalla Libia.
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