Quando ho accettato di andare in Egitto per i «viaggi del Giornale», mi aspettavo di trascorrere una bella vacanza e di trarre qualche utile indicazione, dal contatto con i lettori, per il mio lavoro quotidiano. Niente di meglio di una full immersion con i destinatari del prodotto che contribuisco a confezionare giorno per giorno, pensavo, per capire se stiamo facendo bene, se accontentiamo i nostri «clienti» o se cè qualcosa da correggere nella rotta. Bene, ho avuto molto più di questo. Ho avuto di più dal viaggio in sé: organizzato in modo superbo, perfettamente bilanciato tra le visite ai siti archeologici, le occasioni per vedere o intuire spaccati di vita quotidiana in una realtà così diversa dalla nostra e momenti di puro relax. Ma soprattutto ho avuto di più dai lettori: affascinanti, intelligenti, entusiasti, instancabili, perfino affettuosi.
Ho conosciuto un gruppo di persone perbene e di alto profilo che mi hanno amichevolmente «assediato» per tutto il viaggio, prima per avere notizie dallItalia che solo il mio cellulare collegato a internet riusciva a garantire ai confini del deserto, poi per commentarle animatamente tra di loro e con me: «Ma cosa vuole sto Fini?», «E Berlusconi che farà?» «Andremo alle elezioni anticipate? E se poi Napolitano si mette di mezzo?». Infine per avere informazioni di prima mano sul «loro» Giornale: e mi racconti di Feltri, e come sta Cervi, e comè Sallusti, e mi saluti Granzotto, e lei dottore che cosa fa, che la vedo scrivere poco?
Abbiamo condiviso otto giorni intensissimi. Abbiamo girovagato per il caos dantesco del Cairo, per poi proiettarci in volo sopra una sterminata distesa di segatura (felice definizione rubata a Fabrizio De Andrè) e ritrovarci nella quiete irreale della placida navigazione sul Nilo. Dal brulichio (in)umano della metropoli, dove persone auto pecore e dromedari si contendono le vie, al medioevo (con antenna parabolica incorporata) dei villaggi di fango che spuntano tra la vegetazione tropicale. Nani vicino alle piramidi, tra le ciclopiche rovine di Karnak, al cospetto del miracolo di Abu Simbel; talpe per ammirare i bassorilievi mozzafiato delle tombe della Valle dei Re; scolaretti disciplinati nei templi del papiro e delle essenze. Il tutto rompendo decine e decine di assedi di venditori ambulanti, ma senza mai perdere il sorriso, il buonumore, il gusto della battuta (anche feroce, perché no?) scambiata con le argute guide egiziane.
Fantastici lettori. E indistruttibili: sveglia allalba, scarpinate tra le dimore del dio Ra e del dio Oros, su e giù da pullman, aerei, barchini, feluche; eppure dopo cena, quando pensavi che la stanchezza avrebbe preso il sopravvento su gente comunque non più di primo pelo, ancora la voglia di ballare, di vestirsi da arabi per una serata di carnevale fuori stagione e fuori contesto, di fare festa. E di riunirsi in piccoli capannelli per parlare, discutere. Di politica, naturalmente. E di magistratura. La bestia nera. «È mai possibile che da 15 anni a questa parte chi possa governare lItalia lo decidano i pm al posto degli elettori?». «E perché il referendum sulla responsabilità civile dei giudici è rimasto lettera morta?». Medici, avvocati, manager, imprenditori, insegnanti, impiegati. Ragionamenti pacati, sostanza durissima: la devono finire, loro e anche Fini. Interviene il magistrato, lunico della comitiva. Prova a difendere la categoria: i colleghi politicizzati sono poche decine, ricordatevi che noi abbiamo salvato lItalia dal terrorismo. Ma largomentazione viene respinta con perdite: troppe le evidenze di persecuzione giudiziaria nei confronti dellunico vero punto di riferimento, Silvio Berlusconi, troppo forte la passione politica.
Il giudice cede il campo, poco convinto. Ma lindomani è ancora nel gruppo, ci scherza su. È la forza dei lettori: magari la pensano in modo differente su alcune questioni, ma sui principi di fondo si ritrovano. Cè un denominatore comune. Il Giornale e le idee che difende da 35 anni costituiscono base identitaria importantissima.
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