Tutta la differenza fra destra e sinistra è in prima pagina

Mentre Panorama sceglie Twitter, l’Espresso premia la solita politica (Napolitano). Ai progressisti non piace più il progresso

Tutta la differenza  fra destra e sinistra  è in prima pagina

I settimanali l’Espresso e Panorama in edicola incoronano rispettivamente l’uomo e il fenomeno dell’anno. L’Espresso dedica la copertina al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, l’uomo che ha traghettato l’Italia fuori dalla crisi (?). Panorama compie una scelta diversa, ed elegge a simbolo del 2011 un fenomeno di costume, il social network Twitter.
L’Espresso, fortemente orientato a sinistra, guarda alla politica; Panorama, collocato più a destra, guarda alla società. L’Espresso, potremmo aggiungere, si volge al passato, e infatti l’articolo dedicato a Re Giorgio si intitola Il Grande Timoniere e parte dal lontano 1943 per arrivare al governo dei tecnici. Panorama invece accantona i tecnici e guarda alla tecnologia, il nostro presente e il nostro futuro.

Le copertine riflettono, nel loro piccolo, una diversità di vedute forse più generale. La sinistra si aggrappa al passato, la destra sbircia il futuro, la sinistra interpreta il mondo in chiave politica, la destra ha anche altri orizzonti.

È chiaro: la divisione non è così netta. Infatti il tema della «sinistra conservatrice», sul tavolo da parecchi anni, è stato posto con durezza anche da alcune voci fuori dal coro ascrivibili a quell’area.
A esempio, Angelo Panebianco, sul Corriere della Sera, ha scritto proprio un anno fa: «La più evidente caratteristica della sinistra italiana, nella sua espressione sindacale come in quella politico-parlamentare» è «la strenua difesa dello statu quo in qualunque ambito della vita sociale, politica, istituzionale». E ancora: «Si tratti di scuola, di rapporti di lavoro, di magistratura, di revisioni costituzionali o quant’altro, non c’è un settore importante della vita associata in cui il conservatorismo della sinistra non si manifesti con forza».

Di recente, lo scrittore Alessandro Baricco, partecipando alla manifestazione fiorentina dei «rottamatori» del Pd, ha fatto il pieno di applausi. Ha parlato degli errori commessi dalla sua parte politica: «Pensavamo, della tutela dei deboli, che potessimo ottenerla solo bloccando in qualche modo il sistema, su una rete di diritti e di tutele ben stabile. Oggi sappiamo che la cosa migliore che puoi fare per i più deboli, è concedere loro un sistema dinamico, non un sistema bloccato. Non è vero che il rischio colpisce il debole, il rischio è una chance per il debole. Un sistema bloccato blocca un paese, blocca la crescita, blocca l’entusiasmo, la speranza e le opzioni di rivalsa. Blocca la mobilità sociale». Conclusione: «La sinistra in cui io sono cresciuto è ciò che di più conservativo oggi ci sia in questo Paese».

Dalla politica alla cultura. La sinistra punta sull’usato sicuro: le avanguardie artistiche divenute accademie, che impazzano nei musei; le vecchie glorie della letteratura, che occupano le terze pagine dei quotidiani riciclando spudoratamente vecchi articoli; i registi «cult», da apprezzarsi a prescindere dai contenuti. A proposito di contenuti: la scelta è un po’ ristretta. Dopo l’ondata di film e libri sul precariato, oggi è il momento dell’immigrazione e del razzismo. Domani chissà, altre mode «impegnate» busseranno alla porta della cultura di massa.

La destra è meno monolitica: il liberale sta accanto al postfascista e accanto al cattolico. Per questo la cultura di destra è caotica, contraddittoria, ma anche vitale e talvolta lungimirante. L’innovazione viene da destra. Sono stati gli storici come Renzo De Felice a riscrivere la storia del Novecento; senza il «revisionismo» avremmo una visione distorta del Fascismo e della Seconda guerra mondiale. Saltando di palo in frasca: sono stati i blogger di destra a intuire per primi le potenzialità della rete. Oggi sono le case editrici riconducibili all’area liberale o cattolica a proporre idee forti sulla società: date un’occhiata al catalogo di Liberilibri o Lindau o Rubbettino o Cantagalli. Il cattolicesimo di Lindau e Cantagalli fa a pugni con il pensiero libertario di Liberilibri e liberale di Rubbettino. Eppure tutti quanti pongono al centro l’individuo e non lo Stato. Questa è la radice comune. A sinistra non c’è più niente di simile. I grandi saggi di un tempo, finita l’ideologia comunista, sono diventati piccoli pamphlet antiberlusconiani.

E ancora. La destra, nella gestione dei Beni culturali, vuole liberare l’Arte dallo Stato, rompere con le consorterie, aprire ai privati. Nella scuola, si voleva offrire maggiore libertà di scelta alle famiglie, ridurre il peso della delirante didattica anni Settanta, insistere sull’autonomia degli istituti. I governi Berlusconi non sono riusciti a passare dalle parole ai fatti, se non in piccola parte. Ma quelle idee, in un Paese come il nostro, erano (e sono tuttora) dirompenti.

Per questo hanno trovato una forte opposizione nella burocrazia e nella sinistra che, però, non ha un’alternativa credibile: si limita a riproporre le ricette stataliste che, ormai lo sappiamo, non funzionano. E a riproporre le solite facce, da decenni. Come quella di Napolitano sull’Espresso.

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