Roma non è «La Dolce Vita». La capitale non ricorda più la città dellAnitona nazionale che si bagna languida nella Fontana di Trevi ma quella disperata di Cabiria. È la città delle baracche lungo il Tevere, dei giacigli di cartone come letti per i senzatetto sotto la rampa del Gianicolo. È la città dove si muore a bastonate mentre si pedala sulle piste ciclabili, dove si viene violentati alla fermata di un trenino. È la città dei bambini, non quelli delle fantasie di Veltroni, ma dei fanciulli obbligati a mendicare ai semafori. È la città delle donne costrette a vendersi sulla Salaria e sulla Colombo o in un loculo del Verano.
Non cè più il «ponentino», ma un vento che trasporta droga da respirare, ci sono i lavavetri aggressivi, i menomati gettati dal racket su carrelli improvvisati. È la città dei cinesi che non rispettano le nostre regole, della immondizia abbandonata in strade sudicie, della raccolta differenziata effettuata dai rom che rovistano nei cassonetti, delle case occupate a centinaia da gruppi organizzati fiduciari del sindaco, dei centri sociali, dei writhers selvaggi che non lasciano un solo muro bianco. Altro che modello Roma. È la capitale degli «umiliati e offesi». Di quanti la vorrebbero dignitosa e solidale. Oggi la Roma di Veltroni è un film in bianco e nero, neorealista o iper-realista. Non ci sono star internazionali, come alla Festa del Cinema, né tappeti rossi da calpestare.
Per questa povera gente protagonista del «nostro film», i fotografi vengono solo per certificare un decesso avvenuto per il gelo in una notte alladdiaccio o per un taglio alla gola. Di eterno qui sembrano esserci solo i problemi, gli stessi della Roma disperata e violenta di Pasolini. Quanti anni sono passati? Eppure alle vecchie emergenze, mai superate, se ne sono aggiunte di nuove. Possibile che non siamo capaci di riscattare le nostre periferie, di far guadagnare metri alla vivibilità, alla sicurezza, al decoro urbano? Il primo problema, difetto tipicamente italiano, è quello di continuare a nascondere la polvere sotto il tappeto, laltro è quello di avere al governo della città una classe dirigente prigioniera della vecchia ideologia del comunismo italiano, autoreferenziale e impermeabile alle sofferenze dei cittadini.
Anche per queste ragioni domani ci facciamo registi e produttori di pellicole senza censure e faremo vedere le sconcezze capitali che qualcuno ci ha nascosto per 15 anni.
(*)deputato, responsabile Dipartimento qualità della vita, Federazione di An Roma
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