Roma - La riforma del federalismo fiscale è un disegno di legge delega che attua l’articolo 119 della Costituzione che stabilisce l’autonomia finanziaria di Comuni, Province e Regioni. Il principio fondamentale è quello che tende a garantire entrate e spese autonome agli Enti locali sostituendo nel tempo il criterio della spesa storica con quello di costi standard. Nel ddl è anche fissato un tetto massimo di pressione fiscale.
COSTI STANDARD
Per i servizi fondamentali Comuni,
Province, Città metropolitane e Regioni vedranno gradualmente
sostituire il criterio della spesa storica con i costi
standard. I costi standard dovrebbero anche garantire una
erogazione di servizi uniforme in tutto il Paese e non saranno
più "premiati" gli enti locali che spendevano di più.
TETTO TASSE
Tra gli obiettivi del ddl c’è anche la
riduzione della pressione fiscale. La norma prevede che,
attraverso i decreti attuativi, "sia garantita la
determinazione periodica del limite massimo della pressione
fiscale, nonchè del suo riparto tra i vari livelli di
governo". L’aula del Senato ha approvato un emendamento di
Baldassarri (Pdl) che chiede al governo di fissare nel Dpef il
tetto della pressione fiscale indicando il riparto tra Stato ed
Enti locali.
LOTTA E EVASIONE FISCALE
È stata invece introdotta la
previsione del "coinvolgimento dei diversi livelli
istituzionali nell’attività di contrasto all’evasione e
all’elusione fiscale".
AUTONOMIA IMPOSITIVA
Per finanziare i loro servizi, le
autonomie locali utilizzeranno il fondo perequativo, la
compartecipazione a tributi erariali e tributi propri. Per i
Comuni è previsto un mix di compartecipazione a Iva e Irpef e
l’imposizione sugli immobili, ad esclusione della prima casa;
le Province potranno contare su una compartecipazione e sui
tributi sul parco automobilistico. Si cerca di stabilire un
limite tendenziale delle compartecipazioni solo per i servizi
essenziali.
PREMI E SANZIONI
Sono previste
sanzioni fino al commissariamento per gli enti locali
inadempienti, ma è anche previsto un «sistema premiante» nei
confronti di chi a fronte di un alto livello dei servizi sia in
grado di garantire una pressione fiscale inferiore alla media
degli enti del suo livello.
FUNZIONI COMUNI E PROVINCE
Nel ddl vengono definite le
funzioni essenziali per Comuni e province, in attesa della
Carta delle Autonomie.
ROMA CAPITALE E CITTÀ METROPOLITANE
Sono specificate le
funzioni amministrative che spettano al comune di Roma: si va
dalla tutela e valorizzazione dei beni storici, artistici,
ambientali e fluviali all’edilizia pubblica e privata alla
protezione civile. Il consiglio comunale diventa "Assemblea
capitolina". A Roma Capitale viene attribuito un patrimonio
commisurato alle funzioni che le vengono attribuite ed è
previsto anche il "trasferimento, a titolo gratuito, a Roma
capitale dei beni appartenenti al patrimonio dello Stato non
più funzionali alle esigenze dell’Amministrazione centrale".
Con la ratifica di un referendum si possono istituire le Città
metropolitane che sostituiranno le rispettive province (è
previsto per Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze,
Bari e Napoli).
PATTO DI CONVERGENZA
Il governo, dopo un confronto in
sede di Conferenza Unificata, individua un percorso di
convergenza ai costi e fabbisogni standard (’patto di
convergenzà) da presentare insieme al Dpef alle Camere e che
gli enti sono tenuti a rispettare. In caso di mancato
raggiungimento lo Stato accerta le motivazioni degli
scostamenti e stabilisce le correzioni da mettere in atto. Una
sorta di patto di convergenza è previsto anche per le
infrastrutture e una particolare tutela viene posta alle
infrastrutture delle isole.
BICAMERALINA
A dare il parere sui decreti attuativi
sarà una commissione bicamerale, composta da 15 deputati e 15
senatori, indicati dai gruppi e nominati dai presidenti delle
Camere. La commissione lavora avvalendosi della consulenza di
un comitato esterno con rappresentati delle autonomie
territoriali nominato dalla Conferenza Unificata.
TEMPI DI ATTUAZIONE
Il governo ha un anno di tempo per
varare il primo decreto attuativo e due anni di tempo per i
decreti successivi. Si devono poi contare altri due anni di
tempo per una eventuale correzione dopo le prime attuazioni.