«Tutti gli ebrei prendano la cittadinanza di Israele»

«Tutti gli ebrei dovrebbero essere cittadini israeliani». È questa la provocazione lanciata dallo scrittore Alain Elkann con un intervento «utopico» pubblicato da La règle du jeu, rivista on line legata al filosofo francese Bernard-Henri Lévy e con un comitato di redazione di primissimo piano in cui figurano Mario Vargas Llosa, Amos Oz e Claudio Magris.
Secondo Elkann, nato a New York, cittadino italiano di origini ebraiche, la creazione dello Stato di Israele nel 1948 è un evento storico epocale con cui gli ebrei della Diaspora non hanno fatto i conti fino in fondo. «Se vogliamo che gli ebrei esistano e siano una presenza forte, dobbiamo innanzi tutto capire che esiste uno Stato israeliano, con Gerusalemme capitale. E che non esiste differenza fra “ebreo” e “israeliano”». Ma gli ebrei non sono perfettamente assimilati? «Certo - dice Elkann al Giornale - ma pensi agli ebrei europei prima del nazismo: erano ben assimilati, ma è bastato un folle come Hitler per scatenare la persecuzione e la tragedia di cui tutti abbiamo orribile memoria». E ancora oggi le istituzioni internazionali esitano davanti a chi vorrebbe cancellare Israele dalla cartina geografica.
Gli ebrei ora sono popolo e hanno una nazione. Chi vive in Europa e nel resto del mondo dovrebbe assumere il doppio passaporto. «In cambio - spiega Elkann - dovrebbe anche partecipare attivamente, almeno per una parte della sua esistenza, alla vita di Israele. Gli ebrei potrebbero mandare i loro figli in quello Stato per un periodo di formazione, o anche a svolgere il servizio militare come fece, a esempio, Arrigo Levi. Non credo sarà una trasformazione immediata, ma la ritengo necessaria».
La questione tocca anche l’ambito culturale. «Roth è un grande scrittore di lingua inglese. Kafka scrisse in tedesco. Italo Svevo in italiano. Ma sono tutti scrittori ebrei. Io credo che oggi gli ebrei dovrebbero almeno conoscere la loro lingua. Che è parlata e scritta in uno Stato». Questo non significa rifiutare la cultura in cui si è assimilati, né preparare le valigie per Gerusalemme. «Naturalmente, io rimango un figlio di New York, nato da un padre ebreo francese e da una madre ebrea italiana, e sono uno scrittore di lingua italiana. Rispetto profondamente la tradizione in cui sono cresciuto e in cui vivo. Ma sono anche orgoglioso dell’esistenza di Israele».
Avere la doppia cittadinanza significa esprimere vicinanza a una democrazia continuamente minacciata. «E forse - aggiunge Elkann - permetterebbe a chi critica lecitamente la politica di Israele di capire meglio come stanno le cose.

Quale Stato è perfetto? Così, anche se Israele a volte sbaglia, è un bene che esista. Bisogna essere coinvolti per giudicare senza le lenti dell’ideologia. Troppo comodo prendere le distanze restando seduti in salotto».

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